Recensione: Yohanna
- A metà tra road movie e documentario, il film di Razka Robby Ertanto si muove con piglio tra le contraddizioni in seno all’isola di Sumba in Indonesia, insieme paradiso e inferno

Yohanna di Razka Robby Ertanto presentato nel concorso Big Screen dell’IFFR è costruito tutto attorno a una trama sottile: una suora cattolica (Yohanna appunto, interpretata da Laura Basuki) che si aggira per le strade di un’isola per consegnare aiuti umanitari. Grazie a questo semplice dispositivo, arricchito dall'espediente narrativo di un furto del furgone usato per la spedizione, Razka Robby Ertanto si addentra all’interno dell’isola di Sumba svelandone tutte le contraddizioni. La bellezza dei paesaggi e dei riti ancestrali sono accostati alle dure condizioni di lavoro minorile e alla corruzione della polizia grazie a un costante uso del montaggio alternato che mescola il passato e il presente, in continui flashback che mantengono vivo un film che non disdegna i momenti spirituali nel mezzo del caos. Perché Yohanna è in crisi di fede e il viaggio umanitario si rivela in primis un viaggio interiore. E nonostante la narrazione cosí caotica e i limiti tecnici di un cinema fatto con poco budget o probabilmente grazie a questo, Yohanna si rivela un film sorprendente.
I colpi di scena infatti si susseguono per tutto il film, a volte irreali come in un sogno, a volte quasi parodici del cinema di genere, lasciando ogni denuncia sociale e ogni giudizio (umano beninteso) in sospeso. Non c’è nessun vezzo o pretesa nel mostrare la miseria, nessun poverty-safari a uso e consumo dello spettatore occidentale. Razka Robby Ertanto si preoccupa di fare un film che illustri problemi come lo sfruttamento minorile senza atteggiamenti moraleggianti e manichei. Anche le situazioni più rischiose sono dotate di una certa grazia e a una perdita corrisponde sempre una vittoria, in un senso di giustizia che ha del divino. Eppure siamo di fronte a un film che nonostante le aspirazioni spirituali mostra un lato profondamente umano. Nessun personaggio è interamente buono o interamente malvagio, uno disperato senso di pietas li circonda e li redime tutti.
Il personaggio di Yohanna incarna il lato di una chiesa che abbandona il fortino di moralità in cui si rinchiude da secoli e va incontro alla gente, senza la missione del verbo da predicare. Nessuno comandamento e nessun giudizio esce dalla bocca della suora, solo dubbi e voglia di giustizia. Una suora che non esita a giocare d’azzardo o a corrompere un ufficiale se serve a portare sollievo al prossimo e che da subito ci viene presentata in una sequenza iniziale di estrema bellezza, in gruppo con altre suore, che gioca a calcio in spiaggia, prima di ricevere l’ennesima ‘chiamata”.
Nonostante questa bellezza, a cui fanno da contraltare i vari slum disseminati nell’isola, è interessante il ritratto dell’Indonesia che emerge dal film, non necessariamente il paradiso per turisti che siamo abituati a vedere nell’immagine patinata che si vuole dare del paese. In questo senso Yohanna diventa un altro modo per decolonizzare lo sguardo e ripensare alle immagini del mondo con un filtro diverso da quello di Instagram, quello del cinema.
Il film è prodotto dall’indonesiana Summerland, dalla britannica Reason8 Films e dall’italiana Pilgrim Film. Reason8 si occupa anche di gestire le vendite internazionali.
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