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IFFR 2024 Bright Future

Recensione: It Is Lit

di 

- Viktor Israel Strand esplora le zone oscure dell’aziendalismo con un film dalle poche speranze, ai confini tra fantascienza e teatro dell’assurdo

Recensione: It Is Lit
Amund Öhrnell in It Is Lit

C’è tutto un canone di opere che da inizio Novecento si occupa di descrivere la condizione alienante dell’essere impiegato nella società capitalistica avanzata. Da Kafka a Fantozzi, passando per le acute analisi sociologiche di Kracauer, le folle di King Vidor e gli appartamenti di Billy Wilder. Se ne potrebbe parlare per ore. Tutte queste opere sono tese a raccontare gli effetti devastanti della cultura aziendale nella psiche dell’individuo, rendendolo sempre meno umano (e non a caso un capolavoro del genere s’intitola appunto La Question Humaine). In questo caso, nel nuovo film di Viktor Israel Strand It Is Lit, presentato all’IFFR nella sezione Bright Future, il malcapitato ha il nome di Johan (Amund Öhrnell). 

Johan ha tutte le caratteristiche dell’impiegato modello, impegnato a massimizzare i profitti dell’oscura azienda per la quale lavora e quindi, tramite i bonus, anche i suoi con la forsennata idea di possedere un giorno un castello. Un sogno assurdo, di proporzioni enormi che diventa parodia degli irrealistici target che le aziende si prefiggono all’inizio dell’anno, come se fossero presenti in un mondo a sé. Questo mondo ci viene presentato da It Is Lit in bianco e nero tra wasteland urbane e assurde riunioni all’aperto che non disdegnano gli elementi tradizionali e portanti della cultura aziendale come il gossip machista, la competizione sfrenata, i tristissimi brindisi a celebrare il profitto. Ed è proprio la messa in scena di Strand di questo mondo in apparenza così rassicurante, che lo rende mano a mano sempre più terrificante. I continui stacchi di montaggio, i dialoghi assolutamente privi di senso che ricalcano l’astrusità del linguaggio aziendale e le location periferiche riescono a creare un'atmosfera da incubo senza che si abbia la minima idea di quello che sta succedendo. Un gioco sadico gestito da un potere tentacolare e invisibile - nel film non si vede un ufficio - che porta inevitabilmente alla pazzia.

La sperimentazione di It Is lit è quindi funzionale a mostrare l’alienazione di cui è vittima il protagonista, esasperata dalla mancanza di punti di riferimento narrativi. La tensione tra gli elementi tradizionali della commedia da ufficio e la totale libertà del linguaggio di Strand, frutto dell’indipendenza con la quale il film è stato prodotto, crea un’opera originale, quasi un oggetto non identificato nel panorama audiovisivo contemporaneo. Un film che lascerà molti spettatori in balia del vuoto e della noia, le stesse caratteristiche che definiscono qualsiasi lavoro burocratico, come se Strand ci somministrasse lo stesso veleno, ottenendo però gli effetti di un antidoto. Un viaggio non richiesto negli abissi remoti del neoliberalismo per vederne da vicino il lato oscuro. It Is Lit è una sorta di specchio deformante col quale restituire tutto l’orrore di una vita passata ad inseguire un successo che non arriverà mai e allo stesso tempo un invito al rifiuto dello stato delle cose, descritto per quello che è, nonostante l’utilizzo di tutti gli artifici del cinema: appunto, l’orrore.

It Is Lit è auto-prodotto dall’artista e filmmaker Viktor Israel Strand che si occupa anche delle vendite e della distribuzione.

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