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BERLINALE 2024 Generation

Recensione: Maydegol

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- BERLINALE 2024: La regista iraniana Sarvnaz Alambeigi ha realizzato un documentario duro e molto commovente su una esule afghana di 19 anni che pratica la thai boxe e cerca disperatamente la libertà

Recensione: Maydegol

"Dobbiamo liberarci di tutte le persone che ci danno cattive vibrazioni, che non credono in noi, nella nostra capacità di realizzare i nostri sogni". Due giovani amiche raccolgono dei sassi, vi proiettano mentalmente tutto ciò che di negativo c'è nelle loro vite molto difficili, poi li lanciano il più lontano possibile. E ridono. Siamo in Iran e loro sono ragazze afghane che vivono nella scomodissima posizione di esiliate, un argomento che sembra di particolare interesse per il cinema iraniano attuale, come si vede in In the Land of Brothers [+leggi anche:
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(vincitore del premio per la miglior regia a gennaio al Festival di Sundance). È un tema che la regista Sarvnaz Alambeigi (già apprezzata per 1001 Nights Apart) ha scelto di affrontare sotto forma di ritratto documentario con l'amaro e commovente Maydegol, scoperto nel programma Generation 14plus della 74ma Berlinale.

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A 19 anni, Razieh non ha paura e non esita a bussare a tutte le porte in cerca di un altro lavoro (e non ditele che qualsiasi lavoro è "un lavoro da uomini"!), oltre ai due che ha già in un frutteto e in una fattoria di funghi. Ma ama anche tirare pugni in palestra, dove si allena fino allo sfinimento, sognando di entrare nella squadra nazionale afghana di thai boxe. In fatto di botte, purtroppo ha molta esperienza, essendo vittima (come il resto della sua famiglia di otto persone, compresa la madre) di un padre violento. Insomma, la sua vita è tutt'altro che una passeggiata (alla fine del film scopriremo infatti che Maydegol significa "fiore spezzato"). Ma Razieh è tenace perché deve assolutamente trovare una via d'uscita ("non ho speranza qui, non ho legami, non ho famiglia, non ho amici"), bloccata in una quotidianità in cui i rifugiati afghani sono ostracizzati, privati di un'identità legale e di un Paese d'origine in cui i Talebani la fanno da padroni, il che non è un buon segno. Cosa fare? Sposarsi? Combattere? Come dice il suo allenatore, "si tratta di una lotta per il potere. Un passo indietro è segno di paura. Essere colpiti non significa molto nella thai boxe, ciò che conta è controllarsi, dominare l'avversario". Ma nulla è facile; riuscirà Razieh a costruirsi un futuro?

Incollato alla sua protagonista, una sorta di Rosetta afghana sempre in movimento, il documentario la segue nelle tante conversazioni che ha con i suoi cari (ragazze della sua età che condividono le sue preoccupazioni e la stessa speranza di sfuggire alla maledizione di un destino difficile), sul ring e durante i suoi momenti di solitudine (sui mezzi pubblici, o camminando per le strade nella notte buia accanto ai cani randagi). Aggirando il problema di ciò che la macchina da presa non può catturare (la violenza domestica) con un abile lavoro sul paesaggio sonoro fuori campo, Maydegol si rivela un'immersione documentaristica al femminile non molto usuale in Iran, girata con uno stile crudo e piena di risonanze molto toccanti ("non apparteniamo a niente") sul coraggio e la resilienza necessari per affrontare la durezza del mondo.

Prodotto dalla società tedesco-iraniana della regista Rabison Art Production e coprodotto dai francesi di Noori Pictures, Maydegol è venduto nel mondo dai britannici di Taskovski Films.

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(Tradotto dal francese)

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