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BERLINALE 2024 Panorama

Recensione: Every You Every Me

di 

- BERLINALE 2024: Fra realismo e onirismo, Michael Fetter Nathansky mette in scena la relazione complessa tra una donna e il suo compagno che non osa lasciare sebbene non lo sopporti più

Recensione: Every You Every Me
Aenne Schwarz e Carlo Ljubek in Every You Every Me

Il tono di Every You Every Me [+leggi anche:
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intervista: Michael Fetter Nathansky
scheda film
]
del giovane regista tedesco Michael Fetter Nathansky, presentato alla 74ma Berlinale nella sezione Panorama, è dato sin dalle prime scene del film. Senza poterlo prevedere, è in effetti nella mente della protagonista, Nadine (Aenne Schwarz), che il film ci catapulta dandoci accesso alla complessa relazione che la unisce al suo compagno, Paul (Carlo Ljubek), in preda a una crisi di panico scatenatasi nel bel mezzo di un colloquio di lavoro. Il suo intervento è richiesto per convincerlo ad uscire da una stanza nella quale si è rinchiuso. Una volta penetrata nel suo nascondiglio, non è lui che trova ma una mucca, placida e morbida che comincia ad carezzare con affatto. A questo punto potremmo chiederci: è forse Paul un veterinario o un allevatore? È però solo quando Nadine si allontana dalla mucca per consolare un bambino raggomitolato in un angolo che ci rendiamo conto dell’assurdità della situazione. Quello che vediamo non è Paul ma la materializzazione dei sentimenti che Nadine prova nei suoi confronti.

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La storia raccontata nel film attraverso momenti di vita famigliare, flashbacks e rivendicazioni sindacali, è quella di una trentenne che si sta progressivamente ma inesorabilmente disinnamorando del suo compagno. Come suggerito dai flashbacks in cui il protagonista assume le sembianze di un giovane e dinamico ragazzotto (Youness Aabbaz), Nadine e Paul si sono conosciuti in una fabbrica di carbone dove entrambi lavoravano. Lei, scontrosa e solitaria, se n’era appena andata dalla sua città natale con una bambina ancora piccola. Ciò che colpisce di questi momenti passati è che sebbene Paul sia rappresentato com’era da ragazzo, identità che si immischia anche nel presente della narrazione, Nadine resta sempre la stessa, come se l’unico a cambiare fosse sempre, solo lui o meglio le differenti rappresentazioni che la sua compagna si fa di lui. Riassumendo, il protagonista, oltre alle sue “vere” sembianze, assume quelle di una mucca, di un bambino, di un giovane ragazzo e di una signora anziana. Queste sono, alla fine, le varie identità di lui che Nadine non riesce più a unire.

Sebbene il film, esteticamente molto interessante, nasca dalla volontà del regista di mettere in scena il declino di un sentimento amoroso, la vittoria della realtà sul sogno, questo pare a volta perdere la sua forza diluendosi nella pura teorizzazione. A tratti è infatti difficile entrare davvero nella mente di Nadine, capire cosa ha provocato questo suo rigetto nei confronti di Paul e chi è davvero quest’ultimo. Malgrado le differenti forme corporee che assume, la sua vera natura resta, a conti fatti, un mistero.

L’apparente assenza d’empatia di Nadine si rivela però interessante in quanto la allontana dall’immaginario stereotipato di donna/madre devota e pronta al sacrificio promossa dalla società patriarcale. Detto ciò, le ragioni che, invece di lasciarlo, la spingono a provocare e mettere incessantemente alla prova il suo compagno, restano piuttosto misteriose, come se tutto, in lei, si fosse fossilizzato. Altrettanto misteriose si rivelano le motivazioni che spingono Paul a restare con qualcuno che gli confessa candidamente di non amarlo più. Entrambi vittime della loro personale rappresentazione della coppia, i protagonisti del film rimangono imprigionati in una ragnatela di non detti, di angosce e desideri repressi che impediscono a un film interessante e formalmente elegante di decollare.

Every You Every Me è prodotto da Contando Films, Studio Zentral e Network Movie Film – und Fernsehproduktion e coprodotto da ZDF – Das kleines Fernsehspiel e Nephilim Producciones. Be for Films si occupa delle vendite all’internazionale.

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