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BERLINALE 2024 Concorso

Recensione: Sons

di 

- BERLINALE 2024: Il riuscito secondo lungometraggio di Gustav Möller rivela alcune dure verità sulla vita delle guardie carcerarie e dei detenuti

Recensione: Sons
Sidse Babett Knudsen in Sons

Vedendo le prime scene del secondo lungometraggio di Gustav Möller, Sons [+leggi anche:
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, potremmo pensare che la sua accattivante protagonista, una guardia carceraria idealista di cinquant'anni di nome Eva Hansen (interpretata da Sidse Babette Knudsen), sia un personaggio da pesce fuor d'acqua, più adatto a tenere lezioni di storia ai bambini in una scuola elementare. Per fortuna, il regista di The Guilty [+leggi anche:
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ci dimostra presto che ci sbagliamo. Grazie a una scrittura solida e a un ritmo narrativo coinvolgente questo film, presentato in anteprima mondiale in concorso alla Berlinale, è ricco di sorprese.

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All'inizio Eva sembra una presenza paziente e premurosa - seppur energica e determinata - che lavora in un blocco carcerario dove, per la maggior parte dei detenuti, la riabilitazione è un obiettivo piuttosto realistico e raggiungibile. Nel dettaglio, facciamo la conoscenza di una protagonista totalmente assorbita dal suo lavoro e che sembra non avere una vita al di fuori del carcere. Möller incarica la macchina da presa di Jasper J Spanning di seguire Eva da vicino per tutto il tempo. Inoltre la costante sensazione di claustrofobia è ulteriormente accentuata dal formato compresso. Spanning e Möller inseguono e sbirciano Eva mentre corre dentro e fuori dalle celle e su e giù per i corridoi, aiutando i detenuti a studiare o insegnando loro lo yoga con tracce audio preregistrate su un vecchio stereo.

Ma non c'è nessuna sdolcinatezza. Al contrario, quando arriva la prima svolta del film, il racconto di Möller prende una strada molto violenta e crudele. In particolare, Eva è costretta ad affrontare il dilemma di tutta una vita quando un giovane appartenente al suo passato, Mikkel (Sebastian Bull), viene trasferito nel carcere dove lavora. Eva è ossessionata dalla sua presenza e chiede di essere trasferita nel suo blocco, il più duro e pericoloso della struttura. Da questo momento in poi il suo personaggio si sviluppa in modo significativo e scopriremo il suo lato più oscuro.

È interessante notare che la narrazione oscilla continuamente tra i confini di due generi, lo psicodramma e il thriller: è un equilibrio non particolarmente facile da raggiungere, ma la regia di Möller e i dialoghi asciutti (scritti con Emil Nygaard Albertsen) aiutano certamente.

Ciò che potrebbe non convincere del tutto il pubblico - ed è comprensibile - è il fatto che il legame tra Eva e Mikkel sembra così difficile da scoprire per i suoi colleghi e per il resto del personale del carcere. Si tratta comunque di un fatto più o meno plausibile, ma in tutta onestà dobbiamo riconoscere che questa "licenza poetica" è necessaria per lo svolgimento dell'intera storia e per impostare conflitti e motivazioni ben chiare.

Vale la pena aggiungere che Knudsen, Bull e Dar Salim (che interpreta in modo convincente Rami, uno dei supervisori di Eva nel blocco carcerario più pericoloso) offrono interpretazioni credibili dei loro rispettivi personaggi. In particolare, è azzeccata l'interpretazione di Knudsen dell'evoluzione di Eva e Bull infonde al suo ruolo la giusta dose di imprevedibilità.

Nel complesso Möller firma una solida opera seconda che ci ricorda alcune scomode verità su obiettivi e limiti della riabilitazione, approfondendo al contempo la lotta interiore di una protagonista combattuta tra il senso del dovere e dilemmi personali.

Sons è prodotto dai rami svedese e danese della Nordisk Film Production. La parigina Les Films du Losange vende i diritti del film.

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(Tradotto dall'inglese)

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