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FILM / RECENSIONI Italia / Slovenia / Regno Unito

Recensione: Fela. Il mio dio vivente

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- Daniele Vicari ha realizzato un portentoso documentario sull’incontro negli anni 80 del video artista Michele Avantario con Fela Kuti, e il suo sogno di fare un film sul pioniere dell'afrobeat

Recensione: Fela. Il mio dio vivente
Fela Kuti e Michele Avantario

Se c’è un personaggio a cui la definizione anglosassone “larger than life” calza perfettamente questo è Fela Kuti, iconico pioniere dell'afrobeat con studi a Londra ed eroe nigeriano, che aveva 27 mogli, si scontrò con la giunta militare dell’epoca, portò la sua musica e il suo messaggio contro lo sfruttamento dell’Africa a un pubblico internazionale con tournée che prevedevano un entourage di 50 persone e album di canzoni di 20 minuti, fu arrestato varie volte per falsificazione di valuta e possesso di marijuana (a Milano nel 1980 gliene trovarono 43 chili nelle valigie), fino alla sua morte per una malattia legata all'Aids, avvenuta nel 1997 all'età di 58 anni. Fela ha lasciato sette figli, una cinquantina di album e un'eredità musicale che è stata mantenuta caparbiamente viva dai suoi figli Femi e Seun e dal suo ex batterista Tony Allen e riaccesa da una nuova generazione di musicisti neri come Jay-Z (che ha co-prodotto il musical biografico Fela! nel 2008) e Alicia Keys. Il regista londinese Steve McQueen ha lavorato ad un suo biopic per anni prima di abbandonare il progetto. Ora uno dei registi italiani di documentari e fiction più sensibili e dallo sguardo rigoroso, Daniele Vicari, lo omaggia trasversalmente con Fela. Il mio dio vivente [+leggi anche:
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, nelle sale italiane dal 21 marzo con Luce Cinecittà, dopo essere passato all’ultima Festa del Cinema di Roma.

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Omaggio trasversale, perché il protagonista del documentario di Vicari è Michele Avantario, un giovane filmaker e videoartista amante del jazz che negli anni 80 incontra il rivoluzionario, controverso e irraggiungibile Fela Kuti, lo segue di concerto in concerto, e poi in Africa, a Lagos, e da quel momento dedica la sua vita alla realizzazione di un sogno: un film interpretato dallo stesso musicista. Senza mai riuscire nell’impresa. Un giovane che viene dalle prime sperimentazioni con l’immagine elettronica di Nam June Paik, si confronta con “The Black President of Africa”, un mito vivente, "un tornado di uomo a cui piaceva giocare, mangiare, fare sesso e sballarsi.  Ma era anche dolce, amava l'umanità, aveva dei principi”, come lo ha descritto Rikki Stein, che è stato manager di Fela per 15 anni. Come ha sottolineato lo stesso Vicari, l’utopia di Michele è l’utopia del cinema, della musica, della politica, del desiderio di cambiare sé stessi e il mondo.

Il ritratto duplice di Fela. Il mio dio vivente è nato dalla volontà di Renata Di Leone, la moglie di Michele, di dare vita a quel sogno irrealizzato, utilizzando il suo archivio unico ed inedito, fatto di materiale fotografico e video di oltre 20 ore. Il diario di Michele ha portato alla scrittura della sceneggiatura di Renata Di Leone, Greta Scicchitano e Daniele Vicari. Michele è incarnato dalla voce narrante dell’attore Claudio Santamaria, mentre Il montaggio portentoso di Andrea Campajola è frutto anche del materiale di repertorio da 47 diverse fonti archivistiche, che attraversa i turbolenti anni 70 e 80. Il viaggio iniziatico di Michele nei riti animisti Yoruba del suo mentore Fela è nutrito dalle note delle score originale di Teho Teardo.

Fela. Il mio dio vivente è una produzione delle italiane Fabrique Entertainment [+leggi anche:
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e Luce Cinecittà con Rai Cinema in coproduzione con Lokafilm (Slovenia) e Grasshopper Films (Regno Unito).

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