CANNES 2023 Semaine de la Critique
Recensione: Vincent must die
- CANNES 2023: Stéphan Castang immerge un eccellente Karim Leklou al crocevia dei generi, al centro di una tormenta paranoica che vira al survival
"Meno gente vedo, più mi sento bene". Un quarantenne qualunque, grafico, incollato al computer giorno e notte nella sua casa open space, scapolo solitario reduce da una separazione che attraversa la città in bicicletta con gli auricolari nelle orecchie, cercando appuntamenti sulle app, è il personaggio che Stéphan Castang ha deciso di catapultare in una situazione non ordinaria nel suo film incredibilmente incisivo Vincent must die [+leggi anche:
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intervista: Stéphan Castang
scheda film], presentato in proiezione speciale durante la Semaine de la Critique al 76° Festival di Cannes. Si tratta di un'opera prima che mette insieme in modo spericolato una moltitudine di generi con grande spirito ludico, ma con pugno di ferro allo stesso tempo: generi che vanno dal thriller psicologico paranoico al film d'inchiesta, passando per il survival, la fantascienza, il film distopico e la commedia romantica totalmente fuori dagli schemi.
"Sento che intorno a me c'è una vera e propria follia". Alla stazione di polizia, con il volto pestato e il braccio fasciato, Vincent (Karim Leklou) cerca di capire l'incomprensibile. Nel giro di due giorni, due suoi colleghi lo hanno aggredito con brutale violenza senza un motivo apparente e senza sapere loro stessi il perché. Come se non bastasse, i suoi dirigenti hanno dei dubbi su di lui e gli chiedono di lavorare da casa "per il bene di tutti". E questo è solo l'inizio dei suoi problemi, perché è convinto - e l'intuizione viene rapidamente confermata dagli eventi successivi - che le ondate di aggressività possano scatenarsi contro di lui in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. In uno stato permanente di massima allerta e di paranoia acuta, Vincent cerca di andare a fondo di questo mistero e alla fine si rende conto che il contatto visivo è il fattore scatenante. È quindi costretto a lasciare la città e a rifugiarsi nell'isolamento della campagna. Deve anche imparare a difendersi e a sopravvivere, limitando al minimo le interazioni sociali. Ma questo è tutt'altro che facile quando una giovane donna (Vimala Pons) cattura la sua attenzione e la violenza si diffonde in tutto il paese finché Vincent scopre anche una rete sotterranea di persone proprio come lui, le Sentinelle...
Il film procede a velocità sostenuta, punteggiato da combattimenti che sono ancora più infernali per il fatto che gli individui coinvolti non amano le risse e perché scoppiano nei luoghi più sconvenienti (in particolare una fossa settica). Vincent doit mourir inietta il necessario umorismo nero (che flirta con lo slapstick) in un ritratto della società pre-apocalittica affilato come un rasoio (basato su una sceneggiatura incredibilmente ricca i cui substrati sono stati forniti da Mathieu Naert). Trasportato dal formidabile talento del suo protagonista e meravigliosamente avvolto dalla fotografia di Manu Dacosse e dalle musiche di John Kaced, il film risucchia lo spettatore nei suoi numerosi colpi di scena, mostrando abbastanza, e senza compromessi, per farci riflettere sullo stato del mondo moderno. È un prototipo molto promettente di una nuova ed entusiasmante generazione di registi francesi che citano Carpenter e Romero tra le loro fonti di ispirazione.
Vincent must die è prodotto da Capricci Production, Bobi Lux e Frakas Productions, in coproduzione con Arte France Cinéma e Gapbusters. Goodfellas si occupa delle vendite internazionali.
(Tradotto dal francese)
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