Recensione : Katika Bluu
- Stéphane Vuillet e Stéphane Xhroüet dipingono un ritratto, libero nella forma e nell'approccio, ma anche sconvolgente di un ex bambino soldato che vive il difficile ritorno alla vita civile
Katika Bluu di Stéphane Vuillet e Stéphane Xhroüet, presentato in anteprima belga al Love International Film Festival di Mons, dopo la prima mondiale a San Paolo e la prima europea nella sezione Alice nella Città del Festival di Roma, ci porta nel cuore di un centro di transito a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, per ragazzi esfiltrati da gruppi armati che li hanno sottratti alle loro famiglie per farne carne da cannone.
"Qui sei solo un bambino. Pensi di essere un uomo?". Bravo, 16 anni, arriva al Centro con la pancia piena di rabbia. Estremamente recalcitrante, testa i limiti, insulta, ruba. Mentre lava le cicatrici della foresta e del combattimento, non dimentica di riapplicare la sua vernice di guerra, due segni blu, sulle guance. Può anche far parte di un gruppo, organizzato come una famiglia, ma è solo. Il confronto con le madri che si prendono cura di questi bambini sperduti è inizialmente violento, prima di essere una fonte di pacificazione. Ci vogliono alcuni giorni perché il giovane si scrolli di dosso la sua postura da soldato e si (ri)connetta con la sua infanzia. Questo coinvolge necessariamente altre persone. Prima Francine, una ragazza che viene a tenere una lezione di capoeira, un momento privilegiato che libera il corpo e gli dà una funzione diversa da quella del combattimento. Poi c'è Paul, un nuovo arrivato per il quale Bravo prova simpatia. "Vorrei diventare un serpente per poter cambiare pelle", proclama. E per poter, a sua volta, ritrovare la sua famiglia.
La storia di Katika Bluu e il modo in cui il film è nato sono inestricabilmente legati al risultato finale. Tutto nasce da un laboratorio cinematografico avviato da Stéphane Xhroüet presso il Centro di transito e orientamento di Goma, su invito dell'UNICEF. Colpito dalla vita che si stava ricreando nel centro, dal modo in cui i bambini erano pienamente coinvolti nel processo di gestione, dalla loro scoperta, dopo il meccanismo autocratico della guerra, della democrazia e della benevolenza, ha chiesto a Stéphane Vuillet di dare più spazio al film che avrebbe chiuso il workshop. Molto più spazio, poiché i giovani si sono subito resi conto delle possibilità della finzione e del potere della rappresentazione. E allo stesso tempo, hanno il potere di essere piuttosto che di recitare. Il cortometraggio diventa lungo. Il risultato è un oggetto cinematografico ibrido con la forza di un documentario, ma amplificato da un'estetica che prende in prestito gli strumenti del cinema di finzione. Il malessere di Bravo è il malessere di tutti questi ex bambini soldato. Il film mostra gli incubi che lo perseguitano. In una scena impressionante, vediamo questi ragazzi, divisi tra la loro infanzia e la loro esperienza, giocare alla guerra. È difficile non rimanere turbati dalla collusione tra questi giochi infantili e la traiettoria delle vite dei personaggi, soprattutto quando il sound design ci immerge nei loro ricordi.
Katika Bluu è prodotto da Hélicotronc, e sarà distribuito in Belgio da Libérations Films.
(Tradotto dal francese)
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