Recensione: Sei fratelli
- Un approccio più tagliente avrebbe potuto valorizzare questa litigiosa riunione di famiglia di Simone Godano interpretata da un cast di prim’ordine

Quello della riunione tra fratelli dopo la morte del padre è un sottogenere, piuttosto frequentato dal cinema, del dramma familiare o, a seconda dei casi, della commedia familiare Difficile decidere a quale delle due categorie assegnare Sei fratelli, quarto lungometraggio di Simone Godano (Marilyn ha gli occhi neri [+leggi anche:
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scheda film]), dal 1 maggio nelle sale italiane con 01 Distribution. È probabile che nelle intenzioni degli autori il film dovesse essere un perfetto mix di dramma e comicità, anche se sembra vacillare in entrambi.
La famiglia in questione è di quelle molto allargate, sei figli da quattro madri diverse, che si ritrovano, ed in un caso si incontrano per la prima volta, dopo il suicidio del capostipite Manfredi Alicante (Gioele Dix), che ha deciso di togliersi la vita lanciandosi dalla finestra dell’ospedale dove era ricoverato per un male incurabile. Davanti al notaio nella piovosa Bordeaux convergono Marco, Guido, Leo, Gaelle e Mattia (rispettivamente Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Gabriel Montesi, Claire Romain e Mati Galey), a cui si aggiunge Giorgia (Linda Caridi), moglie di Marco, e Nadine (Judith El Zein), ultima compagna di Manfredi. Dal nulla compare Luisa, (Valentina Bellè), figlia tenuta nascosta fino all’ultimo da un padre avventuriero e giramondo, totalmente assente per i propri figli tranne che per l’ultima arrivata, che gli riconosce tenerezza e affettuosità. L’eredità consiste in una montagna di debiti e un allevamento di ostriche che finora ha fornito una sola perla, chiamata Luisa in onore della giovane.
In attesa di decidere il da farsi, i fratelli sono costretti ad una convivenza forzata e litigiosa nella villa paterna nella città situata sulle rive della Garonne. Ogni fratello ha la propria indole, le proprie storie e i propri fantasmi e qualche motivo per detestare qualcun altro. Come il cuoco Leo, istintivo e sensibile, che non ha mai perdonato al fratello Marco, regista tv di successo, di avergli portato via Giorgia, di cui è ancora innamorato. Le relazioni si riallacciano, si inaspriscono, si raddolciscono attraverso una progressione di situazioni spesso senza legame che l’abile Godano segue con la camera a mano di Guillaume Deffontaines, come fosse un invisibile intruso che osservi da vicino dinamiche familiari troppo spesso viste in film di maggiore densità. La ricerca dell’ilarità da parte della sceneggiatura scritta dal regista con Luca Infascelli porta direttamente ai soliti cliché, come ad esempio la scena della dispersione delle ceneri (dal Grande Lebosky a Mai stati uniti di Carlo Vanzina). I modelli di ispirazione del film sono il senso del dramedy di Paolo Virzì e la capacità di creare una coralità autentica di Gabriele Muccino (per non nominare autori del passato come Scola e Monicelli) e soprattutto, vista l’ambientazione, quell’amaro in bocca sotto al sorriso che ci lasciano molte commedie francesi. Un approccio più tagliente avrebbe potuto senz’altro valorizzare questa storia a più voci interpretata da un cast di prim’ordine.
Sei fratelli è prodotto da Groenlandia con Rai Cinema.
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