Recensione: Troppo azzurro
- Il lungometraggio di debutto scritto, diretto e interpretato da Filippo Barbagallo descrive un giovane immaturo sentimentale con leggerezza, ma non è abbastanza acuto

Lungometraggio di debutto scritto, diretto e interpretato da Filippo Barbagallo, Troppo azzurro [+leggi anche:
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scheda film] approda nelle sale italiane domani 9 maggio con Vision Distribution dopo essere passato in anteprima nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma. Barbagallo è figlio del produttore Angelo Barbagallo, fondatore negli anni Ottanta con Nanni Moretti della storica Sacher Film. Echi del primo Moretti risuonano flebili in Troppo azzurro, un titolo che cita una delle canzoni italiane più famose al mondo, Azzurro, composta da Paolo Conte e Vito Pallavicini possibile palinsesto poetico del film anche se il cuore di quest’ultimo non batte a 155 bpm come il brano. La vera chiave (di basso) di Troppo azzurro sta però nella “consulenza artistica” di Gianni Di Gregorio, come si legge nei titoli di testa.
Protagonista è Dario (lo stesso Barbagallo), un adolescente nel corpo di un 28nne dagli occhioni azzurri incorniciati dagli occhiali che studia (ancora) Architettura a Roma, e vive (ancora) con i genitori (Valerio Mastandrea e Valeria Milillo), stracoccolato. Rientra nel tipo antropologico “goffo bamboccione dall’aria stravagante tormentato da piccole nevrosi e afflitto da grave immaturità sentimentale”. Queste sue irresistibili doti naturali attirano Caterina (Alice Benvenuti), una giovane conosciuta per caso al pronto soccorso, al quale il giovane è ricorso dopo aver versato dell’olio bollente sul proprio braccio. E in seguito Lara (Martina Gatti), l’inaccessibile ragazza da sempre desiderata. Alla prima, Dario confessa di non aver mai avuto una relazione, va a letto con lei ma quando si tratta di accompagnarla a casa a Rimini non si presenta al treno e spegne il telefono. Caterina fa la restauratrice e raffigura evidentemente la rinascita per il giovane uomo attaccato alle rassicuranti rovine dell’antichità. Il quale preferisce invece rifugiarsi nella villetta sull’isola dove i genitori borghesi progressisti sono andati in vacanza. Lara, attraverso la sua sensualità libera, rappresenta invece una esistenza più avventurosa (che per il sedimentato Dario è da sfuggire come la morte) ed è anche quella che ha meglio intuito l’identità non sviluppata di Dario (“gli adulti litigano, sai?”, “pensi di essere all’asilo?”). Nonostante questo ci va a letto e compra un biglietto per Lisbona. Facile capire come va a finire.
Barbagallo tenta di mantenere desta l’attenzione dello spettatore con un paio di soluzioni visive, splittando lo schermo in 9 parti sui corpi nudi dei ragazzi a letto o adattandolo alle dimensioni di un cellulare, e acclude le musiche briose dei Pop X ad immagini solari. Coming of age fuori tempo massimo, il film sembra un Gianni e le donne [+leggi anche:
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intervista: Gianni di Gregorio
scheda film] in versione juniores, ha la stessa gentilezza ma non il suo sguardo acuto e divertito. I crepuscolari anziani dei film di Gianni Di Gregorio sono teneramente irresistibili mentre il protagonista di Barbagallo potrebbe irritare lo spettatore adulto ma far scattare il processo di identificazione in quello più giovane. Il film del resto viene lanciato dal distributore con la frase “Se anche tu a volte ti senti un ‘disagiato arrugginito’... Troppo azzurro è definitivamente il film per te”. Questo disagio rugginoso non viene davvero affrontato dalla sceneggiatura poco sferzante di Filippo Barbagallo che, nelle note di regia, scrive che la storia non ha “la pretesa di sorprendere a tutti costi, né di spiegare qualcosa, sdrammatizza per non annoiare e anche un po’ per pudore”. È come entrare in punta di piedi in un mercato sempre più rapido ed esigente in termini di coinvolgimento.
Il film è prodotto da Elsinore Film con Wildside e Vision Distribution, che cura anche le vendite internazionali.
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