CANNES 2024 Proiezioni speciali
Recensione: La misura del dubbio
- CANNES 2024: Un avvocato lotta per salvare il suo cliente in un film eccessivamente artificioso di Daniel Auteuil, che è anche co-protagonista con Grégory Gadebois

“Non ha precedenti, non è né un colpevole credibile né un innocente palese”. Le immersioni giudiziarie non sono mancate negli ultimi tempi nel cinema francese (da Saint Omer [+leggi anche:
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scheda film]), e ora tocca a Daniel Auteuil, che dirige e interpreta un avvocato molto determinato, affrontare il genere con La misura del dubbio, presentato in proiezione speciale nella Selezione ufficiale del 77mo Festival di Cannes. Con Grégory Gadebois (nei panni dell'accusato di un crimine), il film vanta due interpreti di prim'ordine, ma è ostacolato da una sceneggiatura costruita esclusivamente per i suoi colpi di scena finali.
“Dagli le foto di sua moglie e dei suoi figli, in modo che gli facciano male, e vattene”, “Sta facendo bene il suo sporco lavoro”. Fare l'avvocato difensore non è sempre un lavoro rilassante, ma Jean Monier (Daniel Auteuil) conosce bene il gioco e, soprattutto, è convinto che condannare Nicolas Milik (Grégory Gadebois), accusato di aver ucciso la moglie, sarebbe un errore giudiziario. Tuttavia, questo cliente non se l'era cercato lui, bensì lo aveva incontrato per caso (un servizio reso durante il turno di notte come difensore d'ufficio) nel febbraio 2017. In effetti, non si presentava davanti a una giuria da 15 anni (per un motivo che scopriremo più avanti). Ma quando il processo inizia nel gennaio 2020, l'avvocato è sicuro del suo caso: “Non ci sono prove contro di lui, non c'è un movente e gli elementi materiali sono stati ignorati. Quindi condanneremo a vita un uomo per un filo di cotone sotto l'unghia?”.
Il film analizza metodicamente il caso, passando dai giorni delle udienze (con le perizie, le testimonianze, gli interrogatori e i controinterrogatori, ecc.) ai flashback dei tre anni di indagini durante i quali Milik è stato incarcerato e separato dai suoi cinque figli piccoli, che cresceva quasi da solo accanto alla moglie alcolizzata. Il film ruota intorno alle parole e tratteggia il ritratto di due solitudini: quella dell'imputato (“mia moglie non tornerà, ma i miei figli sono tutto ciò che mi resta”) e quella del suo avvocato, che lavora ossessivamente per lui (“la sta mettendo sul personale”, “farò di tutto per salvarlo - Salvarlo? Chi crede di essere? Le chiediamo solo di difenderlo").
A parte il fatto che il processo in sé non è diverso dai tanti già visti e rivisti al cinema e in tv, il problema principale del film è che, per dare ancora più forza alla sua doppia risoluzione a sorpresa (peraltro eccellente), la sceneggiatura rallenta deliberatamente il ritmo complessivo e si concede molte inutili inquadrature riempitive (incentrate sui movimenti del protagonista autore-regista) che un pianoforte roteante tenta vanamente di ravvivare. Questo a dimostrazione che una buona storia (la sceneggiatura è scritta da Daniel Auteuil e Steven Mitz) non fa necessariamente un buon film.
La misura del dubbio è prodotto da Zazi Films e coprodotto da France 2 Cinéma, Zinc e Zack Films. Il film è venduto nel mondo da StudioCanal (che ha assorbito Orange Studio).
(Tradotto dal francese)
Photogallery 21/05/2024: Cannes 2024 - An Ordinary Case
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© 2024 Fabrizio de Gennaro for Cineuropa - fadege.it, @fadege.it
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