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BIOGRAFILM 2024

Recensione: The Lost Notebook

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- Seguendo le orme di un operaio ungherese appassionato di cinema in epoca sovietica, la regista danese Ida Sørensen riflette sul ruolo della fiction nella vita delle persone

Recensione: The Lost Notebook

Cos’è la realtà senza fiction? La regista e antropologa danese Ida Marie Gedbjerg Sørensen (Qamar) se lo chiede nel suo nuovo documentario, The Lost Notebook, presentato in anteprima mondiale al recente CPH:DOX di Copenhagen e ora in concorso internazionale al 20mo Biografilm Festival. Partendo da un vecchio diario ritrovato in una soffitta di Budapest su cui un operaio ungherese di nome Istvan annotò tutti i film che vide al cinema nel periodo tra il 1942 e il 1994 (2158 titoli in totale), l’autrice si mette sulle tracce dei discendenti dell’uomo e indaga su questa famiglia composta da quattro generazioni di cinefili (padre, figli, nipote, pronipote), scoprendone i segreti, i traumi nascosti e la tendenza di tutti loro a rifugiarsi nella finzione per sfuggire a una realtà non proprio felice.

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Una passione per il cinema coltivata per 52 anni, in maniera quasi ossessiva, è quella che ci mostra il taccuino dove Istvan annotava meticolosamente i titoli e i paesi d’origine dei film a cui aveva assistito, ma soprattutto le date e le sale cinematografiche dove li aveva visti, nella Budapest di epoca sovietica. Ma chi da questa premessa si aspetterebbe un’immersione ricca di dettagli nel cinema che era consentito vedere nell’Ungheria comunista, al netto della censura, potrebbe rimanere deluso: il fuoco del film non è quello, e ci si mette un po’ a capire quale realmente sia. Sørensen si chiede perché Istvan abbia catalogato in quella maniera tutti i film da lui visti, esprimendo i suoi giudizi semplicemente cambiando il colore della penna (quelli segnati in rosso erano quelli che gli erano piaciuti di più) e facendo, alla fine di ogni anno, il resoconto esatto di quante volte si fosse recato in una sala piuttosto che in un'altra.

Per capirci qualcosa in più, la regista rintraccia il figlio maggiore dell’operaio cinefilo, Istvan Jr., e con lui gli altri suoi parenti. Pian piano emerge che sono tutti fissati con il cinema e tutti gran collezionatori di DVD, con la predilezione per un genere in particolare: i film d’azione. Sørensen rimane quindi con loro ed esplora le loro vite: vengono a galla storie di disagio, di abbandono, di omosessualità nascosta, di identità negata. Sembra che l’unico momento in cui queste persone sorridono sia quando si riuniscono davanti a uno schermo, piccolo o grande che sia. Intanto, la regista apprende qualcosa in più su Istvan padre, della sua storia, e si rivolge direttamente a lui, in voce fuori campo, chiedendosi se quella sua ossessione per il cinema fosse data dal bisogno di evadere da una realtà dolorosa. Probabilmente, per Istvan è stato proprio così, come lo è oggi per i suoi figli, sua nipote e suo pronipote.

Ogni tanto, vediamo spezzoni di film tratti dalla lista, di cui non vengono specificati i titoli. Si fa cenno a fatti storici (la rivoluzione ungherese del ’56, per esempio, durante la quale Istvan non è mai andato al cinema; il periodo immediatamente successivo, quando si sono allentate le maglie della censura e sono arrivati nelle sale i film d’azione americani) e davvero si vorrebbe sapere di più su questo, su come la Storia abbia inciso sulla fruizione del cinema, in quel Paese e il quel periodo. Invece, la regista ritorna alle piccole storie di vita quotidiana della famiglia, oggi, e lo spettatore rischia di rimanere a pensare a tutto ciò che avrebbe voluto sapere e che questo film avrebbe potuto dire, prendendo spunto dal ritrovamento di quel prezioso taccuino.

The Lost Notebook è prodotto dalla danese Tambo Film in coproduzione con l’ungherese Little Bus Production.

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