Recensione: Six pieds sur Terre
- Il primo lungometraggio di Karim Bensalah è originale, istruttivo e coinvolgente sul tema classico della ricerca dell'identità e del passaggio all'età adulta

“Smettila di fingere che tutto vada bene. Tu hai paura. Bisogna esporsi, rivelarsi un po'”. Crescere a volte può essere difficile e, in preda all'ansia di tuffarsi nelle acque profonde della vita, gli eterni studenti si rifugiano spesso dietro a varie scuse per evitare il confronto con se stessi, un faccia a faccia non facile perché, in verità, non sanno chi sono. Questa situazione, comune a molti giovani e che potremmo definire un passaggio esistenziale obbligato, si complica ulteriormente quando ad essa si aggiungono le confuse domande sull'identità nazionale e di classe sociale. È questa l'intelligente cornice in cui Karim Bensalah (regista francese di padre algerino e madre brasiliana) inserisce il suo primo lungometraggio, Six pieds sur Terre, ammirato in concorso al Cinemed di Montpellier e al Festival Premiers Plans di Angers, vincitore del premio per la miglior sceneggiatura al Red Sea Film Festival e che Jour2Fête lancerà nelle sale francesi il 19 giugno.
“Da dove vieni? - Da nessuna parte”. Sofiane (Hamza Meziani) ama affermare il suo lato cosmopolita, gli anni giovanili trascorsi nel solco del padre diplomatico. Italia, New York, Venezuela, Francia, Senegal: il dilettante studente lionese non ha alcuna inclinazione verso le sue origini paterne (“tutta la vostra roba araba, algerina, cabila, mi infastidisce”). Ma una lettera rimette tutto in discussione: Sofiane, i cui studi si trascinano da troppo tempo (tra cambi di corso ed esami falliti), ha 30 giorni di tempo per lasciare la Francia. L'unico modo per evitare la spada di Damocle dell'espulsione è trovare un contratto di lavoro. E così il nostro antieroe si ritrova in un'impresa di pompe funebri musulmana di Roubaix, diretta da un cugino di suo padre. Lì, il “novellino” viene messo nelle mani dell'esperto Hadj (Kader Affak) che parla poco, “ma non pensa meno”. Molto reticente, Sofiance scopre un mondo di rituali di cui non sapeva nulla. Incontra anche una ragazza, ma il suo viaggio iniziatico, la sua messa in discussione personale e il suo reimparare a prestare attenzione agli altri, ad ascoltare e a comunicare, sono solo all'inizio e non avverranno senza dolore.
“Non fare nulla, guarda e basta”. Proprio come questo primo ordine di Hadj a Sofiane, Six pieds sur Terre immerge lo spettatore nel cuore di un rito funebre in cui il lavaggio del corpo del defunto e il suo avvolgimento in un lenzuolo bianco assumono una dimensione sensualmente morbida che spazza via ogni pregiudizio. Questo mestiere così insolito fa eco alla traiettoria di rinascita di Sofiane ("la morte non appartiene a nessuno. Cosa fare quando i desideri dell'individuo sono in contraddizione con le tradizioni dei suoi antenati?"), che cerca dolorosamente il suo posto nel mondo tra tormento interiore, solitudine e passività autogiustificativa. Questi nodi vengono sciolti nel corso della storia semplice ma molto finemente scritta da Bensalah e Jamal Belmahi, una narrazione laconica che tuttavia sa respirare quando è necessario e rivela molto su ciò che sta alla base del rispetto umano, e sulla necessità di non giudicare “le persone, siano esse vive o morte”. Un percorso iniziatico tra il materiale (i cadaveri, l'obitorio, la stazione di polizia, i viaggi in auto, i pasti tra colleghi o familiari, ecc.) e lo spirituale, che la messa in scena riflette sottilmente (con mezzi modesti) con un lavoro particolarmente delicato di Pierre-Hubert Martin alla direzione della fotografia.
Six pieds sur Terre è prodotto da Tact Production e coprodotto da Les Films du Bilboquet. Le vendite internazionali sono guidate da The Party Film Sales.
(Tradotto dal francese)
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