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KARLOVY VARY 2024 Proxima

Recensione: The Alienated

di 

- L'atteso secondo lungometraggio della scrittrice e regista Anja Kreis si piega sotto il peso di una miriade di riferimenti, umori e ambizioni concettuali

Recensione: The Alienated
Dana Ciobanu in The Alienated

Nel 2018, Anja Kreis, di origine russa, ha vinto il Premio Speciale della Giuria al Transilvania IFF con il suo film di diploma, Scythe Hitting Stone [+leggi anche:
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, che Cineuropa ha definito "la più bella scoperta" del festival. Naturalmente, la posta in gioco per il suo secondo lungometraggio era alta, con quasi sette anni di distanza che hanno portato a The Alienated [+leggi anche:
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intervista: Anja Kreis
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, un dramma macabro e quasi distopico presentato in anteprima al Festival di Karlovy Vary, nel Concorso Proxima. La sceneggiatrice e regista ha adottato un approccio meticoloso ai temi della violenza e della complessità della natura umana, sia in termini cinematografici che filosofici, ma la tensione del suo nuovo film sembra un po' troppa.

La trama ruota attorno a un'insegnante di filosofia, Varvara (Maria Chuprinskaya), e a sua sorella Angelina (Dana Ciobanu), ginecologa trasferita da Mosca alla piccola città russa senza nome dove la prima vive e lavora. Ciò che è chiaro è che la città è nel caos: la nuova autostrada ha provocato l’aumento della prostituzione e conseguentemente degli aborti, e i cittadini sono disorientati e vogliono ritrovare pace e tranquillità. Tutto il resto della storia rimane in gran parte poco chiaro. Ci sono numerosi scontri tra le sorelle, entrambe piuttosto arroganti nei confronti di tutti (anche l'una dell'altra). Molte scene ambientate nell'università e nell’ospedale mostrano i loro bizzarri ambienti di lavoro, con una tonnellata di personaggi secondari che compongono un microcosmo (piuttosto incasinato) nella città di X. È vero che non tutti i film hanno bisogno di una trama o di un arco narrativo preciso, e The Alienated compensa con un'atmosfera morbosa, ma in gran parte affascinante, di entropia sociale.

Da bambina Kreis era solita trascorrere del tempo nello studio ginecologico dove lavorava sua madre, e questo sentimento di  meraviglia infantile, dipinta con ampie pennellate di terrore, permea il film dall'inizio alla fine. Le scene forse più sconcertanti sono avvolte da ombre che sembrano pulsare di inquietudine e di attesa: i corridoi, le strade vuote, gli angoli delle stanze ripresi staticamente e da lontano sono tutti in bilico sull'horror, ma senza mai sconfinare in quel territorio. Sono la Steadicam e I piani sequenza a favorire una temporanea immersione in un mondo senza Dio, anzi "al di là del bene e del male", come dice la stessa Varvara.

The Alienated mette in risalto i suoi riferimenti filosofici ad ogni occasione, ma nel tentativo di immaginare un mondo nietzschiano nella Russia rurale, finisce per semplificare molte dei discorsi sulla genealogia della morale contenuti nelle opere del filosofo tedesco. La teologia è rifiutata e Dio è trattato come una caricatura, ma il film non vuole davvero farci credere in una sottotrama dell'Anticristo - anche se formalmente lo fa - e preferisce spargere citazioni e confutazioni a buon mercato che equivalgono a qualcosa di molto simile ad un rischioso cinismo. Se eravate rimasti traumatizzati da 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni [+leggi anche:
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di Cristian Mungiu, The Alienated non è forse il film che fa per voi. Anche se pone alcune domande piuttosto pertinenti sulla gestione del proprio corpo e sull'aborto, come viene affrontato  quest'ultimo è così pesante (oltre che violento e desolante) che rimane impossibile capire se si tratta di un'auto-riflessione, di ironia sull'inferno sulla Terra o semplicemente di una condanna sotto forma di film.

The Alienated è prodotto dalla tedesca Fortis Fem Film, in coproduzione con la moldava Pascaru Production e la francese Midralgar.

(Tradotto dall'inglese)

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