Recensione: Madame Luna
- Ispirata a fatti reali, la storia di una donna africana trafficante di esseri umani è al centro del penetrante dramma sull’immigrazione che segna il ritorno in Europa di Daniel Espinosa

Dopo aver diretto Jake Gyllenhaal e Ryan Reynolds nell’horror fantascientifico Life, e il premio Oscar Jared Leto nel poco fortunato spin-off di Spider Man, Morbius, il regista svedese di origine cilena Daniel Espinosa (Easy Money [+leggi anche:
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Si può cambiare dopo aver commesso atti imperdonabili? È una delle domande che si pone questo film, che, dopo la sua prima mondiale a Rotterdam e il premio vinto a Göteborg (per la miglior fotografia), è stato selezionato al Taormina Film Festival, prima dell’uscita nelle sale italiane il 18 luglio con Europictures. All’inizio, vediamo Almaz (Meninet Abraha Teferi) confondersi in mezzo a una lunga fila di migranti appena sbarcati in Calabria, che vengono visitati, interrogati, numerati, per essere poi trasferiti in un centro di accoglienza locale. Si capisce che la donna ha qualcosa da nascondere, dal suo sguardo furtivo, dal suo istinto a sottrarsi ai controlli della polizia, da una telefonata in cui confessa di sentirsi in pericolo. Ne abbiamo la certezza quando una sua connazionale, Eli (Hilyam Weldemichael), la riconosce per strada, la chiama Madame Luna e le dà della criminale.
Ma la giovane Eli, disperata e sola, promette di non denunciare Almaz alla polizia se quest’ultima la aiuterà a liberare suo fratello, detenuto in Libia. “Ti serve coraggio, non lacrime. E ti servono tanti soldi” è la gelida risposta di Almaz, che tuttavia procura alla ragazza un lavoro per raggiungere l’obiettivo. Nel frattempo, infatti, l’ex trafficante in incognito si è guadagnata la fiducia della famiglia di criminali che attraverso la loro cooperativa speculano sui migranti, specialmente Nunzia (Claudia Potenza) e suo fratello Pino (Emanuele Vicorito). Conoscendo quattro lingue e sapendo come gira quel mondo, l’eritrea si è proposta di aiutarli a organizzare il lavoro dei braccianti nei campi, in cambio di un aiuto con la Commissione per ottenere asilo e documenti.
Tutto procede per il meglio per Almaz, che si è guadagnata una posizione da intoccabile e la prospettiva di lucrosi affari con la famiglia calabrese, sulla pelle dei migranti. Ma gli incubi a base di corpi che riaffiorano dal mare continuano a perseguitarla, mentre l’evidenza del destino crudele che attende altri profughi meno scaltri di lei – Eli in particolare – comincia a essere intollerabile.
Scritto dal regista insieme alla sceneggiatrice israelo-palestinese Suha Arraf (Il giardino di limoni [+leggi anche:
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scheda film] Maurizio Braucci, il film trova un buon equilibrio tra ritratto sociale brutale ed esplorazione dei dilemmi interiori della coriacea protagonista – e una menzione speciale va alla sua interprete, Meninet Abraha Teferi, che spicca per intensità e presenza scenica. Madame Luna è soprattutto un dramma della sopravvivenza. Quando Eli le chiede se si sente in colpa per le azioni che ha commesso, l’ex trafficante risponde: “Mi importa dei morti, ma mi importa di più restare viva”. Cosa si sia disposti a fare per sopravvivere è un’altra questione che pone questo film, che aggiunge alla filmografia sul dramma dei migranti un punto di vista insolito, quello del carnefice.
Madame Luna è una produzione italo-svedese guidata da Momento Film, Hercules Film Fund, Rhea Films, Dugong Films, Tv4, Film i Väst. Le vendite internazionali sono affidate a Goodfellas.
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