Recensione: April in France
- Nel suo debutto alla regia, David Boaretto cattura la natura del crescere e dell'affrontare il mondo osservando la figlia

Filmare i propri familiari in situazioni verosimili e non sceneggiate sembra un compito facile, quasi da dilettante. Tuttavia, la parte difficile è elevare il materiale al di sopra del livello del semplice video amatoriale, affinché possa raccontare una storia o affrontare un argomento che potrebbe sembrare irrilevante. Nel suo debutto alla regia con April in France, David Boaretto, noto soprattutto per il suo lavoro di produttore esecutivo, è riuscito a fare proprio questo. Sebbene il documentario sia stato presentato in anteprima, con poco clamore, all'edizione dello scorso anno del Saint Louis International Film Festival, quest'anno sta prendendo piede nel circuito dei festival, con partecipazioni al Festival del documentario di Salonicco, allo ZagrebDox, al Festival della Transilvania, al Golden Apricot e più recentemente al Festival del cinema europeo di Palić, dove è stato presentato nella sezione New European Documentary Film.
La protagonista è la figlia del regista, che per ragioni sconosciute si trasferisce da Londra a Parigi insieme al padre. Mentre la giovane ragazza sta ancora familiarizzando con la lingua, la cultura e lo stile di vita francesi, la pandemia di COVID-19 si diffonde e le viene imposto un rigido isolamento, rendendo ancora più difficile l'adattamento alla nuova vita. Una volta rimosse le restrizioni ai viaggi, si trasferiscono nel villaggio di Labastide-d'Armagnac, nel sud-ovest della Francia, dove hanno legami familiari.
Inizialmente, il luogo sembra quasi vuoto e abbandonato, e la ragazza si sente ancora più sola. Come una sorta di meccanismo di difesa, inventa il suo regno. Successivamente, incontra altri abitanti, viene coinvolta in conversazioni con loro, nelle loro attività, e il mondo immaginario inizia a fondersi con quello reale. In questo nuovo mondo, uno dei suoi eroi è il nonno defunto, pittore e figura importante e amata del villaggio, a cui April inizia a sentirsi fortemente legata, pur non avendolo mai incontrato...
Crescere significa spesso affrontare il mondo reale e le sfide che esso presenta, e per April questo confronto a volte appare eccessivamente gravoso. Si percepisce inoltre che crescere una figlia in circostanze così particolari rappresenta una sfida anche per il padre. Tuttavia, Boaretto compie la scelta etica e intelligente di rimanere concentrato sulla figlia come soggetto, senza mettersi sotto i riflettori. Opta per un approccio osservativo, astenendosi generalmente dal commentare e intervenendo solo quando assolutamente necessario, limitandosi a farlo attraverso la voce fuori campo.
Boaretto dimostra di avere un controllo totale sulla sua opera, gestendo con maestria ogni aspetto della produzione. È lui stesso il direttore della fotografia, seguendo il suo soggetto con attenzione e discrezione. La macchina da presa diventa più fluida e naturale man mano che April si rilassa e inizia a fare amicizia con gli adulti del villaggio, mentre il paesaggio è catturato in tutta la sua espressività grazie all'uso della luce naturale. Come montatore, Boaretto mantiene la durata del film entro i 70 minuti, selezionando solo il materiale più significativo e assicurandosi che il documentario non si prolunghi inutilmente. Il suono, sobrio e ben calibrato, è arricchito dalle musiche originali di Sacha Lounis, sempre in armonia con l'atmosfera. In definitiva, April in France funziona sia a livello personale per il regista e sua figlia, sia su un piano più ampio, psicologico e persino filosofico, grazie al modo in cui cattura la realtà e l'esperienza emotiva della crescita e del confronto con il mondo.
April in France è una produzione francese di Radical Films.
(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)
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