Recensione: Moon
- Il secondo film di Kurdwin Ayub fa incontrare mondi contrastanti, cercando di facilitarne la collisione attraverso le complesse costellazioni della sorellanza
A soli due anni dal suo energico debutto con Sonne [+leggi anche:
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intervista: Kurdwin Ayub
scheda film], la giovane regista curda di Vienna, Kurdwin Ayub, ha presentato un'altra storia di una ragazza ribelle, questa volta ambientata tra l'Austria e la Giordania. Ancora una volta, i dispositivi elettronici, usati soprattutto come strumenti di liberazione, giocano un ruolo cruciale nella trama, mentre i salti tra diverse realtà sono presentati in modo abbastanza tangibile. Non sorprende che questa seconda opera, realizzata a così breve distanza dal primo film, risulti meno rifinita. Tuttavia, Moon [+leggi anche:
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scheda film] rimane intrigante per la sua narrazione ricca di tensione e il suo orientamento verso un pubblico più ampio, grazie a una trama semplice, e dal suo tono thriller. Il film ha appena celebrato la sua prima mondiale nel Concorso Internazionale del settantasettesimo Festival di Locarno ed è uno degli otto titoli della sezione realizzati da registe donne.
L'ex artista marziale Sarah (interpretata da una determinata Florentina Holzinger) fatica a sbarcare il lunario come istruttrice, un fatto che le viene costantemente ricordato dalla sorella maggiore. Un giorno, le viene offerta inaspettatamente un'opportunità di lavoro come personal trainer ad Amman, e Sarah accetta l'incarico senza pensarci troppo, ignorando gli avvertimenti degli amici, che la mettono in guardia con battute sgradevoli su un potenziale shock culturale.
Arrivata in Giordania, viene assunta dall'erede di una ricca famiglia per allenare le sue tre sorelle adolescenti. Sarah viene accolta in una casa spaziosa ma cupa, con decorazioni che ricordano il pan di zenzero, dove le lezioni si dovrebbero tenere nel seminterrato. Tuttavia, le ragazze non sembrano affatto motivate: falliscono già alla prima lezione e, nei giorni successivi, preferiscono che Sarah passi il tempo con loro guardando la TV, facendo shopping al centro commerciale e, soprattutto, prestando loro il suo telefono, dato che il loro accesso a Internet è limitato.
Poco a poco, Sarah inizia a sospettare che qualcosa non vada, e la sensazione di disagio cresce, accentuata dalle riprese ravvicinate in interni claustrofobici. Si rende conto che i suoi timori non derivano soltanto dall'isolamento sociale in un ambiente straniero, ma c'è qualcosa di più oscuro dietro le mura della grande casa. A poco a poco emergono dei segreti di famiglia, la cui graduale rivelazione costituisce la base drammatica che sostiene l'integrità altrimenti vacillante del film.
Nonostante il contesto in cui Sarah, una donna indipendente proveniente da un Paese liberale, sembra poter liberare le tre sorelle dalla loro prigione, la realtà è che anche lei stessa è intrappolata. Si trova bloccata su un costante tapis roulant tra il suo albergo ad Amman e la casa deserta delle ragazze, senza alcuna prospettiva di futuro. Nel frattempo, in Austria, le manca la motivazione per riordinare il suo appartamento o per confrontarsi con la sorella borghese e saccente. Il conflitto tra Sarah e sua sorella crea un parallelo inevitabile, sebbene affrettato, con lo scontro tra Nour (Andria Tayeh), decisa a emanciparsi a tutti i costi, e Schaima (Nagham Abu Baker), che ha accettato il suo destino. Lo stato di stagnazione personale della protagonista, interpretata in modo convincente da Florentina Holzinger, rende il finale del film laconico ma eloquente.
Oltre al tema centrale della libertà femminile, c'è anche uno strato sociale intrigante nella storia, forse non intenzionalmente inserito da Ayub. Sentendosi persa e insicura dopo la fine della sua frenetica carriera nelle arti marziali in Austria, un paese che si supponeva socialmente protetto, Sarah prende la decisione impulsiva di accettare una proposta di lavoro incerta all'estero. Si trasferisce praticamente come "Gastarbeiter" in Medio Oriente, finendo per assumere un ruolo simile a quello di una "ragazza alla pari" – un tipo di servitù che di solito associamo agli orientali che lavorano in Occidente, piuttosto che il contrario. Per questo, Moon tocca anche le dinamiche economiche del contesto geopolitico globale in cambiamento, ampliando così la portata del film oltre il suo ambiente immediato.
Moon è una produzione austriaca di Ulrich Seidl Filmproduktion.
(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)
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