Recensione: Mr. K
di Olivia Popp
- Tallulah H. Schwab scrive e dirige un dramma surreale e anticonformista su un mago itinerante bloccato in un hotel, con un gran significato allegorico

Ecco a voi Mr. K: è un mago itinerante in cerca di un posto dove stare per la notte, che si esibisce per folle a cui non sembra interessare il fatto che possa, letteralmente, tirare fuori cose dal nulla. Alla struttura più vicina, incontra una signora un po' scorbutica alla reception dell'hotel (che lo informa che il televisore sarà un costo aggiuntivo), e che lo indirizza verso la sua stanza, solo per fargli trovare uno strano uomo anziano sotto il letto, un membro del personale delle pulizie nell'armadio e un'intera banda musicale che emerge dalle pareti della struttura. Questo è l'inizio di Mr. K [+leggi anche:
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intervista: Tallulah H. Schwab, Crispi…
scheda film], il secondo film molto movimentato della regista norvegese di origine olandese Tallulah H Schwab (selezionata nella sezione Generation Kplus della Berlinale nel 2014 con Confetti Harvest [+leggi anche:
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scheda film]), che con il suo ultimo lavoro si dà al surreale. Si tratta forse di uno dei film più audaci ed eccentrici presentati in anteprima nella sezione Platform del Toronto International Film Festival.
Il famoso caratterista statunitense Crispin Glover è perfettamente calato nel ruolo di Mr. K - una sottile allusione a Franz Kafka - che oscilla (a volte fisicamente) tra il simpatico Joe e il leader, affiancato da diverse donne deliziosamente stravaganti interpretate da Sunnyi Melles, Fionnula Flanagan e Dearbhla Molloy. Molto presto Mr. K capisce di non poter sfuggire all'hotel, rinunciando e, in un certo senso, abbracciando l'assurdità di tutto ciò, scoprendo la comunità incorporata al suo interno. Trova un po' di cameratismo con uno sguattero di nome Anton (Jan Gunnar Røise), che (probabilmente) non ha mai lasciato l'hotel da quando vi è entrato e il cui più grande desiderio è quello di essere promosso a sbattitore di uova. All'interno di un hotel che nasconde parecchi segreti (un edificio "Mary Poppins" che contiene una moltitudine di corridoi infiniti al suo interno), il signor K diventa sempre più inquieto, e si rifiuta di accettare la realtà dell'hotel. Sarebbe Wonka se fosse ambientato nel Paese delle Meraviglie, con le scale ispirate a MC Escher presenti fin dall'inizio e con la scenografia stracolma di Maarten Piersma e Manolito Glas.
Definire un'opera "kafkiana" è facile - anche se il suo protagonista non si ritrova inspiegabilmente a svegliarsi come un gigantesco scarafaggio - ma essere all'altezza di questa etichetta è più difficile. Schwab si assume questo compito con grande competenza, creando un mondo a volte simile a quello di Charlie Kaufmann, ma con un tono un po' meno spento e un po' più divertente (e orrorifico), guidato dalle musiche orchestrali contemporanee di Stijn Cole, ottimiste e leggermente inquietanti. Certo, questo film non soddisfa la voglia di un'avventura logica: Mr. K ci chiede di sospendere il costante intellettualismo cinematografico e di accettare semplicemente che si possa non capire tutto (o niente) - ma forse è meglio così.
Il film agisce anche come un'allegoria sociale, puntuale ma non del tutto didascalica. Perché il signor K viene promosso così rapidamente all'interno del sistema nepotistico e reticolare dell'hotel e perché il nostro protagonista è così intenzionato a essere il "liberatore" dei residenti permanenti da un cosiddetto incubo senza fine? Dopo aver inizialmente rifiutato l'etichetta, trova conforto nell'idea, con gran sgomento dei suoi colleghi. Il film vi sorprenderà senza dubbio fino alla fine, anche se non avete idea di cosa stia succedendo. Le interpretazioni sono un tanto al chilo. Perché non averne una propria?
Mr. K è una coproduzione tra Lemming Film (Paesi Bassi), A Private View (Belgio), Take 1 (Norvegia) e The Film Kitchen (Paesi Bassi). LevelK ne gestisce le vendite internazionali.
(Tradotto dall'inglese)
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