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LONDRA 2024

Recensione: 2073

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- Il nuovo film di Asif Kapadia è un documentario dai toni apocalittici che mischia in maniera confusa passato, presente e futuro e la realtà con la finzione

Recensione: 2073
Samantha Morton in 2073

Proiettato all’ultima edizione del Festival BFI di Londra dopo essere presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia, 2073 [+leggi anche:
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scheda film
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di Asif Kapadia inizia sulla falsa riga di un film distopico ambientato appunto nell’anno 2073, in un futuro oscuro in cui l’umanità è costretta a vivere in continuo stato di emergenza. La protagonista, interpretata da Samantha Morton, si muove in un mondo dominato dalla tecnologia che rende quasi impossibile la sopravvivenza quotidiana.

Da queste premesse, illustrate da Kapadia con un montaggio confuso in cui alterna immagini girate ad hoc ed immagini provenienti da fatti di cronaca odierni, il film si sviluppa in un pamphlet che si scaglia contro l’attuale ordine mondiale citando insieme varie catastrofi contemporanee, legate fra loro da una sorta di disegno diabolico che vuole gli uomini in schiavitù permanente. Dal futuro alcuni flashback ci aiutano a capire come si sia arrivati al punto di non ritorno, situato in maniera arbitraria (ottimista?) fra cinquant’anni. Kapadia tenta quindi di analizzare il presente da un punto di vista storico, chiamando in causa alcune giornaliste paladine della stampa liberale come Maria Ressa arrestata nelle Filippine da Rodrigo Duterte, la britannica Carole Cadwalladr, che si è occupata di Brexit per il Guardian, e l’indiana Rana Ayyub, che ha coperto lo scandalo Gujarat Files e che scrive per il Washington Post di Jeff Bezos.

Secondo le tesi del regista, proprio quest’ultimo magnate, insieme a Elon Musk e Mark Zuckerberg è uno dei responsabili del caos in cui il mondo sta sprofondando da trent’anni a questa parte. E questa élite globale, coadiuvata dai dittatori di mezzo mondo, starebbe preparando un “evento” (una pandemia, una guerra nucleare, una catastrofe climatica) che farebbe da catalizzatore per l’imposizione del nuovo ordine mondiale. Una tesi che farebbe già sorridere come trama di un film di fantascienza, figuriamoci in un’opera dalle ambizioni da film-saggio come si propone di essere 2073.

Ironia della sorte, 2073 ha tutti i canoni estetici e le turbe paranoiche di un qualsiasi documentario prodotto dalle ideologie complottiste della stessa estrema destra che Asif Kapadia vuole duramente criticare. Il continuo richiamo alla catastrofe imminente, la visione apocalittica della tecnologia che specularmente fa il paio con l’idea integrata che ne hanno i techno bros Musk & Co., il mondo come un posto in cui non ci si può fidare di nessuno. Tutti elementi familiari alle idee libertarie e populiste tanto vituperate da Kapadia.

Nei flashback che dall’anno 2073 ci riportano all’epoca contemporanea ciò che prevale è il sensazionalismo, come se le uniche fonti che riuscissero a raccontare il mondo presente fossero la CNN o Fox News. E quindi tutti nello stesso calderone: la Cina, Donald Trump, Narendra Modi e Putin, l’avanzata tecnologica e l’intelligenza artificiale colpevoli di ogni nefandezza autoritaria. E ancora: la repressione degli Uiguri, i pogrom anti-musulmani del 2002 nel Gujarat, il massacro della guerra alla droga nelle Filippine. Il tutto visto con un occhio rigorosamente occidentale senza un minimo di analisi storica, in un collage ansiogeno e raffazzonato che accusa lo spettatore di immobilismo e lo incita ad agire. Come però, non ci è dato saperlo.

2073 è prodotto da Lafcadia Productions (Regno Unito) mentre Neon Rated (Stati Uniti) si occupa delle vendite internazionale.

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