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ROMA 2024

Recensione: Hey Joe

di 

- James Franco è protagonista di questo dramma di Claudio Giovannesi ambientato a Napoli nel 1971 che offre bei momenti lirici ma personaggi non studiati a fondo

Recensione: Hey Joe
Francesco Di Napoli e James Franco in Hey Joe

“Ho fatto tre guerre. In Europa, Korea, Vietnam”. Il Dean Barry incarnato da James Franco in Hey Joe [+leggi anche:
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scheda film
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di Claudio Giovannesi è il perfetto veterano che abbiamo conosciuto attraverso il cinema americano classico. Alcolista, depresso cronico, separato da una moglie a cui non riesce a pagare gli alimenti e che ora vuol prendersi la casa dove vive nel New Jersey. Siamo nel 1971. A risvegliarlo da quel torpore da stress post-traumatico arriva una lettera della Croce rossa non recapitata per anni, che lo informa della morte di una donna in Italia. Questa donna ha lasciato un figlio di nome Enzo.

In anteprima nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma, il film si apre con le immagini di alcuni soldati americani occupanti che si aggirano tra le macerie e le miserie di una Napoli del 1944, messa in ginocchio dai bombardamenti degli alleati. Un lungo flashback ci informa della breve storia d’amore tra il soldato Dean Barry e la giovane Lucia. A più di 25 anni di distanza, Dean è disposto a vendere la sua adorata Mustang del 1966 per tornare nei Quartieri Spagnoli di Napoli e incontrare il figlio che non sapeva di avere. Il veterano ritrova una città che sembra non essersi ripresa dalla guerra. Ad aiutarlo nella ricerca di Enzo è la prostituta Bambi (“Bambi è un maschio” lo avverte lui), interpretata da una brava Giulia Ercolini, con cui Dean stringerà un rapporto sempre più profondo. Ma è doloroso l’incontro con Enzo (il giovane Francesco Di Napoli). Il giovane fa parte della criminalità locale, è cresciuto all’ombra di un patrigno, lo spietato don Vittorio (Aniello Arena). Dean prova di tutto per conquistare prima la fiducia e poi l’affetto del figlio, saldando i suoi debiti di gioco, aiutandolo nel contrabbando di sigarette e alcool, persino riscattando con il denaro la libertà del giovane, che “appartiene” al boss. “Non ho scelta, sono obbligato, è la mia vita” risponde Enzo al padre che gli propone di “ricominciare assieme” in America.

Giovannesi offre bei momenti lirici, come quando Dean ed Enzo si mostrano reciprocamente le ferite sulla pelle: il padre quelle di guerra, il figlio quelle di strada. Ma forse non c’è posto per i sentimenti. Il romanticismo del reduce, illusorio e autosalvifico, si scontra con il concreto pragmatismo del criminale napoletano, ed è chiaro il clash culturale con il Paese che sta perdendo la guerra in Vietnam e sta consolidando l’idea di consumismo. Peccato che la sceneggiatura scritta dal regista con Maurizio Braucci e Massimo Gaudioso indulga in qualche semplificazione e non riesca ad approfondire maggiormente i personaggi, lasciando lo spettatore con una sensazione di irrisolto che il finale consolatorio non redime. In questo film ispirato ad una vicenda realmente accaduta, o forse solo una leggenda raccontata nei Quartieri Spagnoli, la relazione padre-figlio riassume il rapporto tra due cinema. Gli antieroi della Nuova Hollywood anni 70 creati da Paul Schrader, John Schlesinger, Hal Ashby, Martin Scorsese, F. F. Coppola, Oliver Stone e compagni sono distillati nel dropout di James Franco e si confrontano con il neorealismo italiano, La pelle di Curzio Malaparte portato al cinema da Liliana Cavani e i ritratti socio-antropoligici sulla camorra che sono arrivati successivamente. Il direttore della fotografia Daniele Ciprì riesce nel miracolo di guidare la transizione cromatica e fondere i riverberi e le tonalità delle due cinematografie con intensità ed espressione. 

Hey Joe è prodotto dall’italiana Palomar con Rai Cinema in collaborazione con Vision Distribution, Sky e Netflix. Vision si occupa delle vendite estere e distribuirà il film in Italia dal prossimo 28 novembre.

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