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LECCE 2024

Recensione: B.O.Y. - Bruises of Yesterday

di 

- Il primo lungometraggio di finzione del regista danese Søren Green parla di autolesionismo giovanile ed è un invito a non lasciare i nostri adolescenti soli con i loro demoni

Recensione: B.O.Y. - Bruises of Yesterday
Noa Risbro in B.O.Y. - Bruises of Yesterday

Solitudine, autolesionismo, prostituzione. È un’adolescenza sofferta, persino tragica, quella ritratta nel lungometraggio d’esordio del regista danese Søren Green, B.O.Y. Bruises of Yesterday, visto in concorso al 25mo Festival del cinema europeo di Lecce, dopo il suo passaggio all’Helsinki International Film Festival - Love & Anarchy e al Fusion International Film Festival di Oslo. Il titolo originale, Glasskår, significa “frammenti di vetro”; quello internazionale fa invece riferimento alle ferite che ti porti dietro dall’infanzia. I due elementi si combinano – il vetro e le ferite, metaforiche e reali – in questo film che comincia come un qualsiasi racconto di un’estate un po’ noiosa che un ragazzo di 16 anni trascorre dai suoi nonni in campagna e che poi finisce per trascinare il suo protagonista, con il suo viso angelico e i suoi ricci biondi, in un vortice di degrado, umiliazione e masochismo che fa male anche solo guardare.

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Tobias (Noa Risbro) è un ragazzo introverso, ama andare in skate ed è avido di amore. Sua madre (Iben Dorner) non ha tempo per lui (preferisce dedicarlo ai suoi amanti) e lo spedisce per l’estate dai nonni fuori città (Jens Jørn Spottag e Bodil Jørgensen). Il nonno fa il vetraio e insegna al nipote le basi del mestiere, la nonna è affetta da demenza e dà al ragazzo quel po’ di affetto che non riceve dai suoi genitori, giacché anche il padre di Tobias (Paw Henriksen) è assente, si è rifatto una famiglia e ha una figlia piccola che non gradisce la presenza del fratellastro per le vacanze. Le giornate estive sembrano non finire mai, in campagna non c’è nulla da fare e Tobias ciondola da una parte all’altra, tra campetti abbandonati, bistrot e stazioni di servizio, dove incontra da una parte il biondo e avvenente Jonas (Jonathan Bergholdt), che fa il gigolò e aspetta i suoi clienti alla fermata dell’autobus, e dall’altra il 25enne Aron, un bravo ragazzo che è anche l’imbianchino del paese.

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in salsa danese, con il giovane Tobias e il più maturo Aron attratti l’uno dall’altro ma impossibilitati a vivere la loro passione alla luce del caldo sole estivo, e invece, dopo una perdita improvvisa, il film prende un’altra strada e progressivamente traghetta il suo eroe da uno spiraglio di luce al buio più totale. Tobias sente di non meritare altro che sofferenza e se l’autoinfligge. “Le mani sono lo specchio dell’anima” gli ripete sua nonna, e lui se le ferisce ripetutamente. Il ragazzo utilizza anche il sesso come un modo per sentire altro dolore, un sesso mercenario e mortificante, volgare, disperato. B.O.Y. Bruises of Yesterday è quindi un film che non svela subito le sue intenzioni, che cresce piano piano e che amplia la ricerca di Søren Green sul tema della solitudine giovanile e l’incapacità di verbalizzare i propri sentimenti, una problematica che il regista ha vissuto sulla propria pelle e che ha già affrontato in alcuni suoi cortometraggi precedenti. Un film anche sulle seconde possibilità nella vita, sull’importanza di sentirsi amati e, cosa più importante ancora, un invito urgente a non lasciare i nostri adolescenti soli con i loro demoni.

B.O.Y. Bruises of Yesterday è prodotto dalla società danese Asta Film Aps. Le vendite internazionali sono curate da LevelK.

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