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LECCE 2024

Recensione: Hors d'haleine

di 

- Il film d’esordio del lussemburghese Eric Lamhène tratta con realismo e sensibilità il tema della violenza domestica seguendo la traiettoria di una donna in un rifugio per vittime di abusi

Recensione: Hors d'haleine
Carla Juri in Hors d'haleine

“Sei appena arrivata e già ti sei scusata due volte. Non sei più a casa tua”. Una frase semplice, ma che ti apre un mondo. Cosa significa subire violenza tra le quattro mura della propria casa? In quale condizione psicologica vive, nel quotidiano, una donna a cui viene tolta la dignità proprio dalla persona che professa di amarla? Nel primo lungometraggio del lussemburghese Eric Lamhène, Hors d'haleine [+leggi anche:
trailer
intervista: Eric Lamhène e Rae Lyn Lee
scheda film
]
, è già successo tutto. Ma se c’è qualcosa che questo film sa trasmettere con piccoli tocchi e una grande autenticità, attraverso sguardi, silenzi e dialoghi eloquenti, è il travaglio interiore e taciuto che le vittime di abusi domestici si portano dietro, anche quando decidono di andarsene. Il film, dopo il debutto al Festival di Varsavia lo scorso ottobre, ha partecipato in concorso alla 25ma edizione del Festival del cinema europeo di Lecce, dove si è aggiudicato il premio della giuria e il premio Cineuropa (leggi la news).

Scritta dal regista con la singaporiana Lee Rae Lyn, che cura anche la fotografia, la sceneggiatura prende forma da un mosaico di storie vere di donne raccolte nel tempo. Incontriamo la protagonista, Emma (l’ottima Carla Juri), dopo una rovinosa caduta dalle scale che l’ha fatta finire in ospedale. “Le chiamo suo marito?”, le chiede la dottoressa che l’ha visitata. “No”, risponde lei. Ed è subito chiaro che qualcosa non va. Su discreto suggerimento della dottoressa, Emma decide così di non tornare a casa e accetta di trovare riparo in un rifugio per donne vittime di abusi. È in questo luogo di dolore e resistenza, abitato da donne di varia provenienza accomunate dalla volontà di volersi un po’ di bene e di rifarsi una vita, che si svolge gran parte del film.

Caos, bambini che giocano, piante rampicanti sulle scale, colori: il rifugio è un concentrato di vitalità e di spirito di adattamento, le donne che vi abitano portano tutte il peso del loro passato difficile – che in molti casi è ancora ben presente – e la loro fiducia va conquistata piano piano. Quando arriva una persona nuova, gli equilibri cambiano. Inizialmente Emma sente di essere un pesce fuor d’acqua, in fondo suo marito non l’ha mai picchiata… La negazione è un qualcosa che il film racconta in modo sottile, così come la tentazione continua di tornare tra le braccia del carnefice, di minimizzare, sostenendo che lui può sempre cambiare. Ma la violenza di un uomo su una donna può anche non essere fisica; può essere subdola, far leva su incertezze e carenze (di affetto soprattutto), sulla dipendenza economica (“io mi sono sempre occupato di te”), sull’umiliazione. Tanto da togliere alla vittima l’autostima, da spezzarle il fiato.

Questo è ciò che leggiamo sul volto di Carla Juri, che sa declinare con finezza i vari stati d’animo del personaggio di Emma: il dolore, la confusione, l’apatia apparente, e poi il sorriso ritrovato, la speranza, il coraggio. Un percorso di salvezza che la protagonista condivide con le sue tre compagne di sventura Khadij, Esperanza e Sascha (rispettivamente Véronique Tshanda Beya, Esperanza Martín González-Quevedo e Alessia Raschella), che con i loro caratteri ben delineati contribuiscono a rendere questa storia di rinascita e di solidarietà femminile così toccante, vera e appassionante.

Hors d'haleine è prodotto da Samsa Film (Lussemburgo) in coproduzione con Artémis Productions (Belgio). Le vendite mondiali sono a cura della società con sede a Berlino Pluto Film.

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