Recensione: Napoli New York
- Il film di Gabriele Salvatores su una sceneggiatura scritta da Federico Fellini è dedicato ad un pubblico giovane e fonde troppo disinvoltamente argomenti come inclusione e questione di genere

“Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Ne sono lusingato”, disse Federico Fellini in un’intervista rilasciata nel 1993. L’aggettivo “felliniano”, per definire certe situazioni, andrebbe usato con più moderazione, come “kafkiano”. E andrebbe vietato del tutto se riferito a certi film o registi (che non si chiamino Scorsese, Greenaway, Fosse, Michalkov o Kusturica). Nel caso di Napoli New York [+leggi anche:
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scheda film], il nuovo film di Gabriele Salvatores, nelle sale italiane dal 21 novembre con 01, l’aggettivo è relativamente appropriato, visto che Fellini ne scrisse la sceneggiatura con Tullio Pinelli alla fine degli anni Quaranta. Questa storia di circa 80 pagine Salvatores l’ha fatta sua, girandola con il suo stile personale.
Siamo a Napoli nel 1949, una bomba inesplosa della Seconda Guerra Mondiale fa crollare un intero palazzo: la bambina superstite (Dea Lanzaro) è la nostra protagonista, assieme al suo amico, il piccolo Carmine (Antonio Guerra). Entrambi orfani, cercano insieme di sopravvivere in una città messa in ginocchio dalla povertà. L’incontro casuale con George (Omar Benson Miller), il cuoco del piroscafo Victory pronto a salpare per New York, è l’occasione per imbarcarsi come clandestini e raggiungere Agnese (Anna Lucia Pierro), la sorella maggiore di Celestina, nel Bronx. Dopo un viaggio passato a sfuggire al commissario di bordo italiano (Pierfrancesco Favino) per poi diventare le mascotte di bordo, i due sbarcano ad Ellis Island, sfuggono ai controlli della dogana e mettono piede, naso per aria e occhi sgranati, sul Nuovo Continente. “There is no way like the American way” recita un cartellone pubblicitario (reso celebre dalla fotografia di Margaret Bourke-White per la copertina della rivista Life). Ma la vita non è facile nemmeno nel Bronx: Agnese è in carcere in attesa della pena capitale per aver ucciso il ragazzo americano che a Napoli aveva promesso di sposarla ed era fuggito a New York dalla moglie. Le cose prenderanno una nuova piega con la solidarietà della comunità italiana e la mobilitazione del movimento per i diritti delle donne.
Salvatores è un regista che si è continuamente interrogato sulle forme del cinema e dei differenti modelli di narrazione, sperimentando e mutando continuamente nei suoi 40 anni di carriera. Qui riprende il registro della commedia, mantenendosi fedele ai temi a lui cari, il viaggio e i personaggi costretti ad agire in uno spazio non abituale, con momenti di humour (la statua della Libertà scambiata per una Madonna di Pompei, l’inseguimento chapliniano dei poliziotti per catturare i due protagonisti che hanno rubato una torta) e situazioni drammatiche (la sofferenza degli immigrati sulla nave). Napoli New York va visto per quello che realmente è, un film dedicato ad un pubblico di ragazzi, con suggestioni che possono essere apprezzate dagli adulti; un romanzo di formazione sospeso nel tempo in cui la macchina da presa opera ad altezza di bambino e i colori e le immagini hanno la dimensione del sogno (Diego Indraccolo è il direttore della fotografia); una favola neorealista immaginata da un Fellini non ancora “felliniano”, che aveva appena collaborato alla sceneggiatura del capolavoro di Rossellini Paisà. Salvatores asseconda questo sguardo meravigliosamente “edulcorato” e riempie le inquadrature di elementi che costituiscono l’assoluta iconicità nordamericana, dai grattacieli al cantante di blues nero che suona la chitarra sulla veranda, integrando una colonna sonora didascalica (Roberto De Simone e Franco Corelli a Napoli, A Salty Dog dei Procol Harum sulla nave, The Ronettes, Benny Goodman, Jimmy Durante, Bruce Springsteen e Somewhere nella rauca versione di Tom Waits, a New York). E riesce infine, in pochi minuti e troppo sbrigativamente, a fondere tre argomenti all’ordine del giorno: l’inclusione (quando i migranti erano gli italiani) incontra la discriminazione razziale degli afrodiscendenti e la questione di genere.
Napoli New York è prodotto da Paco Cinematografica con Rai Cinema.
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