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BLACK NIGHTS 2024 Concorso

Recensione: Silent City Driver

di 

- Il regista mongolo Janchivdorj Sengedorj descrive un viaggio ipnotico e spirituale intrapreso da un angelo caduto, realizzando un'epopea criminale sotto forma di parabola

Recensione: Silent City Driver
Amartuvshin Tuvshinbayar in Silent City Driver

Scorrendo la filmografia di Janchivdorj Sengedorj, il cui tredicesimo lungometraggio, Silent City Driver, è stato il gran vincitore del Festival Black Nights di Tallinn – aggiudicandosi il Gran Premio per il miglior film del concorso della Selezione ufficiale e il Premio per la miglior scenografia (leggi la news) – ci si rende conto che, fin dall'inizio della sua carriera, il regista è stato attratto dalla condizione degli “umiliati e offesi”, per prendere in prestito il titolo dello struggente romanzo di Dostoevskij. Dal suo esordio, Oxygen (2010), su un brillante intellettuale diventato alcolizzato e nomade, al suo penultimo film, The Sales Girl (2021), che ripercorre la corruzione emotiva di una studentessa nella grande città, i personaggi di Sengedorj sono spesso anime gentili travolte dallo tsunami di un mondo crudele. In questo modo, tutto sembra rischiare di sconfinare nel cliché, ma la maniera in cui Sengedorj intreccia il reale con il magico, il male banale con la spiritualità sublime, eleva il suo lavoro a racconti cinematografici di altissimo registro, come il capolavoro che è Silent City Driver.  

La surreale scena iniziale, in cui un uomo sale su un autobus e un cammello prende il suo posto alla fermata, sembra avvertirci che tutto in questo film ha un piede nella realtà e l'altro nel vasto mondo interiore del suo protagonista. L'uomo in questione è l'alto, bello e profondamente addolorato Myagmar (un'interpretazione incantevole del ballerino professionista Amartuvshin Tuvshinbayar), che inizia le sue peregrinazioni sullo schermo da questa fermata, vagando per le strade di Ulaanbaatar in cerca di sollievo per la sua anima inquieta.

Ci viene dato il tempo e lo spazio per osservare le riflessioni solitarie di Myagmar – mentre strizza gli occhi al mondo con una sigaretta in mano – prima di apprendere che ha trascorso la sua giovinezza in prigione per omicidio colposo in un incidente stradale. Dopo 14 anni dietro le sbarre, il lavoro più dignitoso che riesce a trovare è quello di autista di carri funebri in un'agenzia di pompe funebri. La sua solitudine (condivide solo qualche momento con i fedeli cani di strada) è interrotta dal legame con un falegname cieco che costruisce bare, con la figlia del falegname, Saruul (interpretata da Narantuya, modella professionista dall'aspetto fragile), che si prostituisce segretamente di notte, e con un giovane monaco buddista con cui Myagmar discute le questioni esistenziali legate alla morte. Peccatore pentito, Myagmar segue ossessivamente Saruul per scoprire l'origine dei suoi peccati, per poi scoprire che è vittima di un piano mafioso. Nel frattempo, il suo orribile passato ritorna sporadicamente come un boomerang, un leitmotiv sottolineato da “Comme un boomerang” di Serge Gainsbourg come tema musicale ricorrente. È un serbatoio di energia demoniaca che alla fine trasforma in una spinta per il nobile ripristino della giustizia e in un ritiro da un mondo che ha già causato tanto dolore.

Sguardi penetranti e contemplazioni cupe, emozioni represse e azioni radicali: tutto ciò è organicamente portato in vita da inquadrature widescreen che, insieme alla colonna sonora incandescente, conferiscono a questa piccola tragedia privata un sapore epico. La capitale mongola Ulaanbaatar, come ambientazione, sembra nostalgicamente accogliente nelle riprese diurne, che rivelano tracce di vita tradizionale, e alienantemente fredda nelle notti illuminate dai neon, tutte catturate con sfumature dal direttore della fotografia Enkhbayar Enkhtur. Il finale è allo stesso tempo devastante e pacifico: ricorda un romanzo russo profondamente tragico, che la trama evoca, e riflette la filosofia meditativa buddista che permea il film dall'inizio alla fine. Alla fine ci si immerge fino alla catarsi, grazie alla maestria cinematografica che lascia lo spettatore desideroso di saperne di più, anche dopo 137 minuti.

Silent City Driver è coprodotto dalle mongole MFIA, Dominion Tech LLC, Nomadia Pictures e Ddish.

(Tradotto dall'inglese)

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