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BLACK NIGHTS 2024 Critics' Picks

Recensione: I, the Song

di 

- Nel secondo film di Dechen Roder la ricerca di una donna per riabilitare il proprio nome diventa una ricerca esistenziale per scoprire la verità dietro la scomparsa del suo alter ego

Recensione: I, the Song
Tandin Bidha e Jimmy Wangyal Tshering in I, the Song

In  I, the Song [+leggi anche:
intervista: Dechen Roder
scheda film
]
,  una non del tutto ghost story su delle non del tutto sorelle, la regista bhutanese Dechen Roder mette insieme identità sbagliate e austero desiderio ambientati in Bhutan, con un design dell’illuminazione assolutamente sontuoso che porta il film a un livello superiore.  Si tratta  del secondo lungometraggio riccamente strutturato di Roder, che arriva otto anni dopo la premiere del suo giallo di ispirazione noir, Honeygiver Among the Dogs (2016), e scambia il mondo sotterraneo urbano con gli splendidi paesaggi del Bhutan. Per I, the Song, che oscilla tra le sfere sociali del Paese e le ambientazioni più naturali, Roder (che ha anche scritto e prodotto il film) ha ricevuto il premio per la migliore regia nel concorso Critics' Pick del Black Nights Film Festival di Tallinn 2024.

L'insegnante Nima (Tandin Bidha), timida e dolce, viene licenziata senza troppe cerimonie dopo che le autorità vengono a conoscenza di un breve video intimo (chiamato "video blu" a causa della sua illuminazione) che circola su WeChat e che sembra ritrarre Nima. La donna decide subito di chiarire la questione e scopre che si tratta di una donna più estroversa di lei di nome Meto (interpretata sempre da Bidha), alla quale assomiglia in modo sorprendente, tranne per il fatto che Meto ha i capelli corti, la frangetta e un piccolo neo sotto l'occhio destro. Nima si mette così alla ricerca della sua sosia per riabilitare il proprio  nome, ma la sua ricerca diventa sempre più esistenziale, portando a storie parallele legate alla scomparsa di Meto.

Nima incontra per la prima volta l'ex fidanzato di Meto, Tandin (Jimmy Wangyal Tshering), un chitarrista e cantante in un bar locale illuminato dai neon. Tandin, capellone e tatuato, con la voce rauca di una rockstar, ha una smorfia permanente sul volto. Comprensibilmente, Nima è allo stesso tempo scoraggiata e stranamente incuriosita da quel personaggio. L'incontro con l'amico di Meto, Chuni (Sonam Lhamo), con il proprietario dell'azienda Phuntsho (Tshering Dorji), che ha assunto Meto, e con la famiglia dello stesso Meto, porta a un'ulteriore fusione con l'identità di Nima, che Roder utilizza per suggerire un'angolazione più delicatamente mitica. Nima è solo un'altra forma di Meto, un fantasma o una sua trasmutazione? O forse sono un'unica anima divisa in due?

Con le sue quasi due ore di durata, I, the Song avrebbe potuto essere facilmente ridotto, ma ogni scena brilla di una tale ricchezza visiva che non si può fare a meno di perdonare a Roder questo minutaggio. La regista non ha paura di adottare un approccio più stilizzato, oscillando tra il mondo esterno più luminoso e lussureggiante e il ventre più torbido e nebbioso in cui Nima si ritrova, un ambiente reso ancora più speciale da un intenso apparato di luci. La visione del "video blu" porta letteralmente Nima in questo nuovo mondo, che diventa immediatamente blu quando Roder utilizza luci colorate estremamente forti per illuminare gli interni.

Sebbene la realtà sembri a volte flettersi, la lenta corrente di elementi più magici di Roder non diventa mai stantia - e probabilmente è meglio così, dato che I, the Song non si immerge mai nei molti cliché esotici che circondano un Paese come il Bhutan. Ma c'è qualcosa di profondamente onirico nel suo film, che lascia uno spazio sufficiente tra le scene di Nima e Meto per far sì che lo spettatore si chieda se ci sia qualcosa di più tra le due. Una qualità cinematografica simile a quella di Wong Kar-Wai è presente in molte scene tra Tandin e Meto e tra Tandin e Nima, dove si può leggere molto tra le righe.

Roder non dimentica nemmeno la bellezza del suo Paese, offrendo scorci del paesaggio vegetale e costellando la sua storia di canti diegetici in Dzongkha (la lingua nazionale ufficiale del Bhutan) eseguiti da Tandin, Meto, Nima e altri. Il tutto è completato da una sottile musica sperimentale ambient fatta di corde pizzicate e suoni non identificabili che contribuiscono all'atmosfera onirica. Pur rimanendo nel territorio del dramma-mistero psicologico, il film culmina con un messaggio più universale sulla solidarietà femminile. Nima, all'inizio, è sconcertata dal fatto che un documento come il video blu possa identificarla, ma la sua ricerca la porta in nuovi territori emotivi.

I, the Song è una produzione bhutanese-norvegese-italiana-francese di Dakinny Productions (Bhutan), Fidalgo Film Production (Norvegia), Volos Films Italia (Italia) e Girelle Production (Francia). Le vendite mondiali sono affidate a Diversion Co, Ltd.

(Tradotto dall'inglese)

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