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TRIESTE 2025

Recensione: Terra incognita

di 

- Nel disordinato ed esteticamente suggestivo documentario di Enrico Masi una famiglia vive sulle Alpi senza elettricità mentre nella Francia si sperimenta la fusione termonucleare

Recensione: Terra incognita

Nel mettere a confronto  la scelta di una famiglia tedesca che vive sulle Alpi italiane senza elettricità e senza contatti con la società e la costruzione di un reattore  a fusione nucleare nel sud della Francia, Terra incognita [+leggi anche:
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di Enrico Masi parte dal naturalista tedesco dell’Ottocento Alexander von Humboldt, citando in apertura il suo “Kosmos”: “Dopo una lunga assenza nel tentativo di comprendere i fenomeni fisici del globo e l'azione simultanea delle forze che pervadono le regioni dello spazio, trovo una duplice inquietudine. Chi siamo noi al confronto del cosmo? Dello spazio intorno alla Terra? Come può l'arte intrecciarsi con la definizione di scienza?”. In principio era il verbo, il logos. La legge cosmica… Dopo l’anteprima mondiale al Festival dei Popoli di Firenze a novembre scorso, Terra incognita concorre al Premio Corso Salani al Trieste Film Festival.

Visivamente confezionato con grande eleganza a compostezza, con lenti movimenti di macchina e una fotografia (di Stefano Croci e lo stesso Masi e con Tomas Rigoni) che ha saputo catturare la calma umida dei paesaggi di montagna così come i geometrici dettagli del groviglio di strumenti e cavi dell’impianto nucleare, Terra incognita ci immerge nella vita quotidiana della famiglia Keyenburg. Il padre, Gerd, è un ammiratore di Joseph Beuys e della sua ricerca di un'armonia superiore tra uomo e natura. Racconta che dopo gli studi a Monaco ha vissuto sull’Alta Algovia e dopo Chernobyl si sono spostati sul Monte Rosa. Vediamo i figli maggiori lavorare senza l’uso di strumenti meccanici, trasportare legname con il cavallo su ripidi pendii, tra i boschi, o esercitarsi al violoncello. Scheggie di filosofia beuysiana: “Un'arte che non è in grado di plasmare la società e quindi di avere un effetto sul cuore di questa società e sulla questione del capitale non è arte”… “Bisogna considerare […] a cosa si rinuncia per fare parte pienamente della natura o isolarsi dalla società e come una persona partecipa plasmando se stessa…”.  Tra questi frammenti si inseriscono i segmenti dedicati al megaprogetto internazionale ITER, la via verso la fusione termonucleare controllata (la cui messa in esercizio - scopriamo da Wikipedia – è stata rimandata al 2039 dopo la scoperta di fessurazioni  nel reattore), corredati da vecchio materiale d’archivio tv, spesso in bianco e nero, sulla corsa all’energia nucleare, con le sue glorie e i suoi rischi e con la testimonianza di Laban L. Coblentz, consulente scientifico e imprenditore americano, responsabile della comunicazione di ITER, e una spartana presenza della ingegnere nucleare italiana Irene Zammuto.

Nessun nome compare sovraimpresso sulle immagini del film. Terra incognita non è infatti un documentario nel senso classico del termine, con un’idea di divulgazione dietro. È piuttosto una riflessione di Enrico Masi e del cosceneggiatore e produttore Stefano Migliore su due idee simultanee e contrapposte di sviluppo umano e di reperimento delle risorse e delle energie, che siano creative o fisiche, ancestrali o avanzate e per uno sviluppo sostenibile. Il tutto in una disordinata e suggestiva progressione di concatenazioni visive di un certo impatto evocativo ed estetico (il montaggio è di Carlotta Guaraldo con l’esperto Benni Atria). Lo spettatore resta in bilico tra il sogno survivalista della famiglia Keyenburg e il sogno/incubo del Prometeo nell’antropocene (o capitalocene?) che abbiamo visto nell’Oppenheimer [+leggi anche:
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di Christopher Nolan.

Terra incognita è una coproduzione Italia-Francia di Caucaso con Rai Cinema e Les Alchimistes. Caucaso lo porta nelle sale italiane da giovedì 30 gennaio. Le vendite internazionali sono affidate a Filmotor.

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