email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

SUNDANCE 2025 Premieres

Recensione: All That’s Left of You

di 

- Il grande dramma storico di Cherien Dabis mostra le ripercussioni della Nakba su tre generazioni della stessa famiglia palestinese

Recensione: All That’s Left of You
Saleh Bakri (a sinistra), Marwan Hamdan (secondo da destra) e Cherien Dabis (a destra) in All That’s Left of You

L'attuale fase terminale del conflitto israelo-palestinese, unita agli sforzi educativi di vari commentatori e alla crescente simpatia per la causa palestinese, richiede un cambiamento nelle rappresentazioni mediatiche. In All That’s Left of You [+leggi anche:
intervista: Cherien Dabis
scheda film
]
di Cherien Dabis, storia e documentario si fondono nella più ampia narrazione di una saga familiare universale, consentendo che complessi dettagli storici vengano custoditi come miti personali e collettivi stimolanti. In parole povere, è difficile immaginare che questa storia potesse essere raccontata (e finanziata) in questo modo anche solo dieci anni fa; il momento lo richiede ora, e il potente film di Dabis instaura un rapporto disinvolto con la grandiosa sofferenza dei suoi personaggi, rendendo più vivido, anziché attenuare, il trauma che hanno subito. In anteprima al Sundance, il film rappresenta un sorprendente ritorno al lungometraggio per Dabis dopo una pausa trascorsa a lavorare a serie americane di alto livello dopo il suo film d'esordio Amreeka. Inoltre, la regista si sdoppia in un ruolo da protagonista di grande impatto, che ricorda la presenza scenica di Nadine Labaki nei suoi film più appassionati.  

Sebbene Dabis sia nata e cresciuta negli Stati Uniti, trae ispirazione dalle esperienze del padre palestinese in esilio, ideando per la sceneggiatura (da lei firmata) una famiglia archetipica la cui tragica traiettoria evoca uno spaccato dell'impatto devastante della Nakba. Con la cronologia narrativa che si espande in sequenza dal 1948, 1978 e 1988 fino al 2022, le vicende della famiglia Hammad – interpretate tra l'altro da tre membri dell'eminente dinastia di attori Bakri – inizialmente li vedono condurre un'esistenza sicura, da ricchi agricoltori della classe medio-alta a Jaffa, per poi fuggire in un campo profughi di Nablus, in Cisgiordania, dove una tragedia che colpisce i loro figli durante una protesta contro l'occupazione sconvolge ulteriormente la loro situazione.

Il modo in cui Dabis mostra l'espropriazione delle loro proprietà da parte delle forze sioniste, vista dall’angolo del patriarca della famiglia, Sharif (Adam Bakri nel segmento ambientato nel 1948, con il padre Mohammad che ne assume il controllo nel 1978), potrebbe in realtà essere più straziante e destabilizzante da assistere; sebbene Sharif trascorra alcuni mesi in un campo di prigionia, mentre sua moglie Munira e il figlio Salim si dirigono verso ovest, la ricchezza che detengono da generazioni fa sì che sembrino sempre in qualche modo al sicuro, a prescindere dal fatto che vivano altrove. Sebbene questo possa essere stato limitato dal budget (per non sminuire l'eccellente valore produttivo e la grandiosità visiva del film), il fatto che non vediamo i loro conflitti nel più ampio contesto dell'espropriazione collettiva sminuisce leggermente questa fase del tumultuoso impatto della Nakba.

Eppure, fedele allo status diasporico della regista, il fulcro emotivo del film si concentra sui conflitti generazionali e politici tra gli uomini della famiglia, con Salim (interpretato da adulto da Saleh Bakri) una figura più conformista e arrendevole rispetto al padre, che porta ancora metaforicamente le cicatrici della vecchiaia, con i suoi principi nazionalisti che iniziano a influenzare il nipote Noor. Il destino finale di Noor da giovane adulto innesca poi nel padre un'ulteriore presa di coscienza esistenziale del loro allontanamento fisico e mentale da una terra che in definitiva era loro, e la cui restituzione avrebbe finalmente donato un po' di pace alla sua famiglia.

Gli spettatori di questo film potrebbero trovare fastidiose le sue sviste, e potrebbero avere la sensazione che questa famiglia immaginaria non riesca a cristallizzare e rappresentare appieno il violento impatto della Nakba. Eppure, c'è anche una rinfrescante resistenza a raggiungere un falso equilibrio e a venerare le argomentazioni di entrambe le parti; attraverso la narrazione di Dabis, i palestinesi appaiono dignitosi, e Israele si assume tutta la colpa, con tutto il dovuto.

All That’s Left of You è una coproduzione tra Germania, Cipro, Palestina, Giordania, Grecia, Qatar e Arabia Saudita, guidata da Pallas Film, Twenty Twenty Vision Filmproduktion, Displaced Pictures e Nooraluna Productions. Le vendite mondiali sono a cura di The Match Factory.

(Tradotto dall'inglese)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy