Recensione: Tarantism Revisited
- Anja Dreschke e Michaela Schäuble ci trasportano nel cuore della Puglia dove la danza si trasforma in catarsi permettendo a tante donne di liberarsi dal male di vivere

Prima di approdare alle Giornate di Soletta dove è stato selezionato nella sezione Panorama lungometraggi, l’intrigante ed esigente Tarantism Revisited, scritto, diretto e prodotto dal duo di antropologhe Anja Dreschke e Michaela Schäuble è stato presentato in prima mondiale a DOK Leipzig (dove è stato premiato con la Colomba d’oro al miglior documentario tedesco) e nominato come miglior film documentario al Preis der deutschen Filmkritik. La potenza del film non proviene solo dalle immagini d’archivio che riporta alla luce, ma anche dalla sua capacità di tessere legami forti e pertinenti fra passato e presente, tradizione e utopie contemporanee.
Il film debutta con una scena intrigante che si svolge in Puglia alla fine degli anni cinquanta. Quello a cui assistiamo è un misterioso rituale interpretato da donne vestite di bianco che si muovono in modo spasmodico al ritmo ripetitivo di percussioni accarezzate dal suono di alcuni violini. I loro movimenti, liberi, provocanti secondo le norme sociali dell’epoca e allo stesso tempo quasi coreografati sulla base di schemi che sfuggono ai non iniziati, interrogano gli spettatori sin dalle prime immagini. A cosa stiamo assistendo? Perché queste donne, sorta di spose devote solo a loro stesse, danzano in questo modo? Cosa vogliono dirci? Queste e molte altre sono le domande che hanno spinto, sin dagli anni cinquanta, diversi antropologi italiani (capitanati dallo storico delle religioni e antropologo Ernesto de Martino) a recarsi nel Salento per documentare e cercare di comprendere una “danza rituale” che si tramanda da una generazione all’altra.
Tarantism Revisited segue le orme di questi e queste pioniere visitando i luoghi che hanno esplorato e dando la parola a chi ha assistito a queste catarsi danzanti. È proprio uno di questi testimoni a mettere in evidenza la differenza fra gli sfoghi delle donne che si credeva fossero state morse da un ragno velenoso (la tarantola) e quelli manifestati da chi soffriva di epilessia o di “isteria”, come si credeva all’epoca. A differenza di queste ultime che non controllavano i loro movimenti, come se il corpo non rispondesse più al loro volere, le cosiddette “tarantate” interpretavano invece un rituale i cui movimenti, che mimavano l’incedere di un ragno, erano prestabiliti, come passi di una danza liberatoria che per molte rappresentava la sola alternativa a una vita di costrizioni e dolore.
Quello che il film mette in scena, attraverso immagini d’archivio in cui le dirette interessate parlano, con pudore e un certo stupore rassegnato, della loro malattia dell’anima è il bisogno di liberarsi dal peso di una vita interamente subita in cui l’individualità era quotidianamente soffocata. Per la prima volta, questi e queste studiose italiane hanno dato la parola a donne che non l’hanno mai avuta. A questo proposito, quello che colpisce è la ricchezza del vocabolario coreografico che le “tarantate” possedevano rispetto alla limitatezza delle parole che utilizzavano per esprimere quello che provavano, come se l’espressione verbale non potesse minimamente competere con quella corporea.
Particolarmente interessante è il legame che il film tesse con il presente di quante, ancora oggi, si sottomettono allo stesso rituale. Se i motivi della loro ribellione danzata sono diversi (il veleno del patriarcato per le antenate e il veleno dei pesticidi che soffocano la loro terra per le più giovani), la forza di questo misterioso rituale è rimasta intatta come a ricordarci che l’oppressione cambia forma ma non perde la sua devastante potenza.
Tarantism Revisited è un film esigente, frutto di un decennio di ricerche, che tesse, come la tela di un ragno, legami fruttuosi fra il passato e il presente di una terra che, ancora oggi soffre senza però rassegnarsi.
Tarantism Revisited è prodotto da EMB - Ethnographic Mediaspace Bern e Petit à Petit Köln.
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