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SOLETTA 2025

Recensione: Road’s End in Taiwan

di 

- Come decoro per il suo film, un road movie famigliare capitanato da tre fratelli che però non si conoscono, Maria Nicollier sceglie Taiwan, la sua natura rigogliosa e le sue contraddizioni

Recensione: Road’s End in Taiwan
Pierre-Antoine Dubey, Elliot Malvezzi e Rhydian Vaughan in Road’s End in Taiwan

Presentato in prima mondiale alle Giornate di Soletta dove compete per il Prix du public, Road’s End in Taiwan [+leggi anche:
intervista: Maria Nicollier
scheda film
]
mette in scena l’avventura rocambolesca di tre fratelli costretti a condividere una storia famigliare che non conoscono se non in modo frammentario. Quasi interamente girato sulle strade sinuose di Taiwan (il film è la prima coproduzione esistente fra Svizzera e Taiwan), il film è costruito attorno alle personalità di Damien (Pierre-Antoine Dubey), nato in Taiwan ma cresciuto a Ginevra da una mamma fotografa, di suo fratello maggiore Steven (Rhydian Vaughan) che è stato allevato (suo malgrado) da loro padre inglese a Taiwan e da Yishang (Elliot Malvezzi), il fratello più piccolo.

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L’improbabile trio si forma dopo che Damien, sconvolto dalla notizia che suo padre è morto, scopre che un’eredità l’attende e decide quindi di partire a Taiwan per mettere ordine in una storia famigliare alla quale crede sempre meno. Qual è la verità che si nasconde dietro la figura di suo padre che, come sua madre gli ha sempre raccontato, sarebbe già dovuto essere morto da molti anni? Quello che sembrava un viaggio da compiere solo si trasforma però ben presto, in un’avventura corale. Senza la firma di tutti, infatti, l’eredità del padre non potrà essere suddivisa.

Sebbene le motivazioni dei tre fratelli siano diverse: Damien vuole mettere insieme i pezzi di un’infanzia di cui sa ben poco, Steven desidera abbandonare una ditta che sta per fallire e aprire un ristorante e Yishang sogna di potersi permettere un occhio “nuovo”, quello che li accomuna è la volontà di mettere un punto finale ad una storia famigliare dolorosa. Stretti come sardine dentro al furgoncino di Steven, i tre protagonisti partono allora alla ricerca dell’ultima moglie del padre. Malgrado le reticenze e l’incapacità di parlare di verità che bruciano ancora come ferite aperte, Damien, Steven e Yishang devono, loro malgrado, imparare e conoscersi, a tessere legami che sembravano spezzati per sempre. Attorniati da una natura rigogliosa che pare accarezzarli infondendogli un bizzarro senso di pace, i tre si confrontano con le loro differenze, con l’influenza che il vivere in posti diversi, in diverse culture e con diversi valori ha avuto su di loro. Il film ci fa allora riflettere sull’importanza relativa dei cosiddetti legami di sangue rispetto alla forza di relazioni scelte e rivendicate, costruite con pazienza e costanza. Le loro differenze e l’influenza negativa che il padre, violento ed egoista, ha avuto sulle loro vite, ci fa anche riflettere sulle derive della mascolinità tossica, sulla paura di aprirsi ad una catartica fragilità per paura di perdere anche solo poche briciole della propria “virilità”.

Mai esageratamente “feel good” ma comunque sempre delicatamente godibile e ben strutturato, Road’s End in Taiwan mette in scena il bisogno di conoscere la propria storia per volersi, infine, un po' più bene.

Road’s End in Taiwan è prodotto dalla svizzera REC Production insieme alla taiwanese Serendipity Films.

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