Recensione: L’Arbre de l’authenticité
- Il fotografo e artista visivo Sammy Baloji realizza un saggio cinematografico che approfondisce il passato coloniale della Repubblica Democratica del Congo e il suo significato ecologico

Come da tradizione, l'IFFR continua a includere nella sua programmazione saggi cinematografici. Uno di questi è The Tree of Authenticity [+leggi anche:
trailer
scheda film], di Sammy Baloji, presentato in anteprima mondiale al Concorso Tiger del festival olandese.
Sammy Baloji è noto soprattutto per le sue fotografie che esplorano la storia di Lubumbashi del XX secolo, tra cui Mémoire, Album e la serie Kolwezi. Il suo lavoro esamina prevalentemente il passato coloniale della sua città natale sotto il dominio belga, dal controllo di re Leopoldo II al successivo trasferimento all'Union Minière du Haut-Katanga.
The Tree of Authenticity non fa eccezione. In questa occasione, il fotografo e artista visivo realizza un film-saggio che approfondisce il passato coloniale della Repubblica Democratica del Congo e il suo significato ecologico. Il film si apre con un articolo del giornalista ambientale Daniel Grossman, che racconta la scoperta da parte del biologo dell'Università di Gand Koen Hufkens di diari tenuti tra il 1937 e il 1958. Questi registri, originariamente compilati dai ricercatori della stazione biologica di Yangambi, nel cuore del bacino del Congo, documentano la capacità della giungla di assorbire anidride carbonica.
Strutturato in tre parti e interpretato da Edson Anibal (che interpreta l'agronomo congolese Paul Panda Farnana, considerato il primo intellettuale del Paese), Diederik Peeters (l'ingegnere agricolo belga Abiron Beirnaert) e Pierre Van Steene (una guida turistica), il film intreccia testimonianze personali e analisi scientifiche per tracciare gli effetti duraturi della colonizzazione belga, non solo sulle vite umane, ma anche sull'ambiente naturale.
Il film-saggio di Sammy Baloji è complessivamente ben assemblato ed è un'esperienza piuttosto avvincente se visto sul grande schermo. Ma si basa forse troppo sulle inquadrature del paesaggio e su un ritmo eccessivamente contemplativo, che a volte può ostacolare il coinvolgimento degli spettatori. Inoltre, non è un'opera facile da seguire per chi non ha una buona conoscenza della Repubblica Democratica del Congo e del suo ex dominio belga. Alcuni testi sullo schermo tentano di facilitare il compito, ma probabilmente non saranno sufficienti per tutti.
Inoltre, un approccio un po' più giocoso nel far interagire la voce fuori campo e le immagini sarebbe stato probabilmente utile. Un tentativo più chiaro - anche se non del tutto riuscito - di raggiungere questo obiettivo si vede quando, a metà del film, ascoltiamo la testimonianza di Beirnaert, risalente al 1941. Beirnaert è stato il primo direttore della Divisione Palme da Olio dell'Istituto Nazionale per gli Studi Agronomici del Congo Belga di Yangambi. Il suo discorso accenna alla vita nella colonia, lo sfruttamento delle risorse locali e il tema del lavoro in generale - qui Baloji cerca di intrecciare le parole dell'ingegnere con riprese di materiali, immagini di lavoratori contemporanei e scorci di ampi spazi industriali.
Nel complesso il film si rivela un discreto resoconto storico del colonialismo belga e un'opera piuttosto ben fatta, che serve soprattutto a ricordare le conseguenze del mancato ripensamento del nostro rapporto con la natura.
The Tree of Authenticity è prodotto dalle belga Twenty Nine Studio & Production e Shelter Prod.
(Tradotto dall'inglese)
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