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IFFR 2025 Harbour

Recensione: Balentes

di 

- Il film d’animazione di Giovanni Columbu racconta la storia di due adolescenti alla ricerca della libertà nella Sardegna degli anni ‘40

Recensione: Balentes

Presentato nella sezione Harbour all’ultima edizione dell’IFFR, Balentes [+leggi anche:
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è l’ultima fatica di Giovanni Columbu, sette anni dopo Surbiles [+leggi anche:
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. Come tutti i film di Columbu, e come la maggior parte dei film diretti da registi sardi, il film è ambientato in Sardegna, una dato statistico che appare banale ma la dice lunga sul peso che l’identità culturale e geografica ha sul pensiero degli artisti isolani. Nel caso di Giovanni Columbu poi, un regista che è stato presidente del Partito Sardo d’Azione, la sardità è quasi un obbligo. E Balentes si fa carico di raccontarla una certa sardità, non sempre nobile, già dal titolo ambiguo che denota sia il coraggio che l’arroganza. Columbu si mette sulle tracce dei grandi scrittori che ne hanno fatto una terra epica, in primis Salvatore Satta e Grazia Deledda, seguiti da Marcello Fois e Michela Murgia, quest’ultimi col compito arduo di adattare la tradizione al contemporaneo.

Così Balentes, un film d’animazione che ha tra suoi tratti stilistici una forte componente pittorica, si fionda sugli anni ‘40 per raccontare gli ultimi anni di una terra ormai alle porte della modernità. Una modernità che si palesa chiaramente nel linguaggio usato da Columbu, caratterizzato da un coro di voci che alterna i toni sussurrati dell’omertà, ai pianti dell’attittos e agli squillanti inni alla libertà dei due protagonisti a cavallo, prima della tragedia annunciata. Perché Balentes è una tragedia, e non poteva essere altrimenti in una terra che fa del fatalismo uno dei propri tópoi, (ma sa sorte, cumandat semper issa, est comente a andare a s’iscuru - ma la sorte comanda sempre lei è come andare al buio). E come in uno dei precedenti film di Columbu, Arcipelaghi [+leggi anche:
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(1999), al centro della vicenda c’è l’abigeato, una parola che i sardi hanno imparato a conoscere bene e che significa furto di bestiame, in questo caso i cavalli.

I riferimenti visuali di questa fóla cupa sono parecchi, dal cinema muto alla pittura futurista, dai film western ai cavalli di Eadweard Muybridge. Fa impressione come il regista abbia scelto di narrare certe scene: con poche macchie di colore, con semplici tratti che danno al treno una forma geometrica, con esplosioni di materia astratta degni del miglior cinema d’avanguardia. Balentes è uno di quei film che lascia spazio al sottinteso, che non presenta conclusioni ma vi allude con un ermetismo tipico della gente isolana. In questa storia in cui due bambini diventati adulti troppo presto cercano di liberare dei cavalli dal loro destino di carne da cannone, ci sono echi di storia patria e brandelli di presente. In particolare l'antimilitarismo di Michele e Ventura, ancora motore di una delle lotte più importanti che una parte del popolo sardo porta avanti testardamente da anni.

Columbu però tocca anche temi esistenziali, come il desiderio di fuga, presente nel cinema sardo da sempre, si veda Cainà (1922), ma anche Padre Padrone (1975) e la malagiustizia, energicamente amministrata dallo stato italiano (a questo proposito rivedere Banditi a Orgosolo (1968). Ciò che manca nell’affresco di Columbu rispetto ai suoi predecessori è la maestà del paesaggio. O meglio, uno sfondo c’è ma è abbozzato, dimentico delle ansie di identità. Come se Columbu volesse infine liberare questo racconto dalla gabbia culturale del regionalismo per dargli un respiro universale, con dei protagonisti non ancora pastori e non ancora banditi, ignari del destino che puntualmente ha atteso il popolo sardo da generazioni.

Balentes è prodotto dalla Luches Film che si occuperà anche delle vendite.

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