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BERLINALE 2025 Panorama

Recensione: The Moelln Letters

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- BERLINALE 2025: Martina Priessner firma un documentario di ineffabile profondità sui postumi persistenti di un evento traumatico di trent'anni fa, evocando il paesaggio socio-politico della Germania

Recensione: The Moelln Letters

In risposta alle crisi globali e ai cambiamenti nella politica nazionale, la Germania si sta confrontando nuovamente con le modalità di rievocazione della sua storia e delle sue azioni. Da questo contesto nasce un film della documentarista Martina Priessner - i cui altri due lungometraggi hanno esaminato le vite di persone di origine turca - che guarda al trauma intergenerazionale attraverso una lente diversa. The Moelln Letters [+leggi anche:
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intervista: Martina Priessner
scheda film
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, presentato in anteprima mondiale nella sezione Panorama della Berlinale, affronta il tema dell'incendio doloso a sfondo razzista e islamofobico avvenuto nel nord della Germania oltre trent'anni fa. Il film non potrebbe essere più adatto al momento, visto che riflette drammaticamente su una sfera sociopolitica che sta ancora cercando di capire come fare i conti con la vergogna e gli atti di violenza storici.

Una notte del novembre 1992, alcuni neonazisti lanciarono bombe incendiarie contro le case occupate da due famiglie turco-tedesche nella città di Moelln. Una madre, Hava Arslan, il suo bambino Namık e il figlio maggiore İbrahim furono tra i sopravvissuti all'orribile tragedia che causò la morte della nonna Bahide, della cugina Ayşe Yılmaz e della sorella Yeliz. Migliaia di persone inviarono alla città lettere di sostegno e solidarietà indirizzate alle famiglie, ma stranamente nessuna di esse è mai arrivata. Sono state tutte aperte e lasciate metaforicamente a marcire negli archivi comunali di Moelln fino al 2019. Nessuno sa perché.

Priessner ci presenta innanzitutto İbrahim adulto: con una profonda cicatrice sulla guancia sinistra, è l'unico fratello che ricorda l'attacco e soffre di un'immensa ansia e del senso di colpa tipico del sopravvissuto. Il trauma si manifesta in modo diverso in Namık, che è ingrassato a causa dello stress ed è aggressivamente protettivo nei confronti della sua famiglia. La sorella, Yeliz Burhan, nata dopo l'attacco e chiamata così in onore della sorella scomparsa, considera il suo nome un peso piuttosto che un onore.

Lo stile visivo del documentarista è decisamente semplice e diretto, un approccio osservativo senza fanfare che focalizza la telecamera quasi interamente sulle persone colpite. “Il ricordo ha a che fare con la recitazione”, dice qualcuno durante un evento commemorativo. E così, İbrahim porta la sua battaglia al governo locale, discutendo con i funzionari pubblici sulle lettere e andando a trovare coloro che scrissero alle famiglie all'epoca.

Si fanno ipotesi sul perché le lettere non siano mai state consegnate, anche se la città ha risposto ad alcune di esse. “È stata una situazione eccezionale per tutti”, sostiene l'attuale sindaco. Con la fotografia di Ayşe Alacakaptan e Julia Geiß, la telecamera si dirige verso l'anziano archivista, Christian Lopau, come se aspettasse che lui dia seguito a questa scusa superficiale - ma lui balbetta solo qualche parole e sembra nascondere i segreti di quel tempo.

Questo atto ripetitivo del non rivelare è una profonda metafora di una risposta predefinita alla tragedia: ignorando si può dimenticare, ed esprimendo vergogna ci si può sentire assolti. “Mi fa vergognare di essere tedesca”, scriveva in una lettera l'allora dodicenne Sonja Jansen. La vergogna diventa un tema ricorrente che Priessner sottolinea con forza; una lettera è firmata da “una donna tedesca piena di vergogna, furiosa, in lutto”. Si trattava di lettere ben intenzionate di persone che volevano semplicemente aiutare, ma la retorica parla di un malessere sociale pervasivo.

Ciò a cui assistiamo è in definitiva sintomatico di una società in cui il dolore e la sofferenza sono burocratizzati e razionalizzati. Il metodo di Priessner è quello di agire da antidoto a tutto ciò, esponendoci ripetutamente a testimonianze di traumi intergenerazionali da parte delle vittime e di coloro che entrano in empatia con loro. L'obiettivo non è la pietà, e di certo non la vergogna, ma gli spettatori sono costretti a provare sentimenti profondi attraverso le storie di questi fratelli. Se c'è una cosa che risulta chiara alla fine di The Moelln Letters, è che la burocratizzazione non è un vero ricordo: una lettera di condoglianze qui, un memoriale là. Solo le azioni reali potrebbero servire.

The Moelln Letters è prodotto dalla berlinese inselfilm produktion, mentre le vendite internazionali sono curare dalla New Docs di Colonia.

(Tradotto dall'inglese)

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