Recensione: Home Sweet Home
di Olivia Popp
- BERLINALE 2025: Il film di Frelle Petersen è un ritratto sommesso del lavoro di badante agli anziani, un lavoro ingrato ma cruciale, visto attraverso gli occhi di una giovane madre che se ne occupa

Lavoro invisibile, lavoro sottovalutato: il regista danese Frelle Petersen approda alla 75ma Berlinale con il suo quarto film, Home Sweet Home [+leggi anche:
intervista: Frelle Petersen
scheda film], presentato in anteprima mondiale nella sezione Panorama. Scritta, diretta e montata da Petersen, l'opera di quasi due ore tratteggia un ritratto fittizio, seppur apparentemente realistico, dei giovani lavoratori del settore dell'assistenza agli anziani: le loro piccole gioie, naturalmente, ma soprattutto l'intensità delle loro responsabilità che lasciano poco spazio all'errore, per paura che emergano reclami o che un paziente si ferisca a causa della mancanza di cure adeguate. Petersen torna a dirigere un lungometraggio dopo il suo precedente film, Forever [+leggi anche:
recensione
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intervista: Frelle Petersen e Jette Sø…
scheda film], presentato in anteprima mondiale in concorso a San Sebastian 2022.
La giovane madre lavoratrice Sofie (Jette Søndergaard, che ha partecipato a tutti e quattro i film di Petersen) gestisce efficacemente tre lavori. Il suo nuovo lavoro di assistente domiciliare per anziani, il suo lavoro di istruttrice di ginnastica e il suo ruolo di madre per la figlia Clara (Mimi Bræmer Dueholm), di dieci anni, di cui condivide la custodia con l'ex marito. Home Sweet Home è incentrato sulla professione di Sofie, che si occupa di assistenza agli anziani pagata dallo Stato: un lavoro irregimentato, in cui ogni compito è misurato in minuti e gli operatori devono affrontare il caos della cura dei pazienti insieme a episodi meno frequenti, ma comunque dolorosi, di sfoghi, disinteresse e maleducazione da parte dei figli adulti degli anziani in questione.
Il ritmo di Petersen sottolinea l'immensa monotonia del lavoro, ma il ritmo volutamente piatto può generare un senso di frustrazione anche negli spettatori più pazienti. Sebbene il dramma nella vita lavorativa di Sofie si intensifichi a partire dalla metà del film, il regista cerca di sottolineare ripetutamente la natura ingrata del lavoro, portando avanti il suo punto di vista a scapito della vicinanza affettiva; ci vengono concessi pochi veri momenti con Sofie da sola, per esempio, per cogliere la sua prospettiva. Ciò è forse ulteriormente aggravato dall'approccio distanziato di Petersen nei confronti di tutti i suoi personaggi, che vengono osservati attentamente nei loro ambienti grazie alla fotografia di Jørgen Johansson, attraverso la quale rimaniamo desiderosi di una maggiore vicinanza emotiva.
Mentre stringe rapporti con diversi anziani di cui si prende cura – tra cui Else (Karen Tygesen), Grethe (Inger Sophie Andersen), Vera (Christa Paulsen), Per (Henry Sørensen) e altri – Sofie si scontra con il pigro Frederick, che non si prende cura dei suoi pazienti come dovrebbe. Sebbene sia una persona affabile e compassionevole, è facile empatizzare con le lotte e il percorso emotivo di Sofie fin dall'inizio, ma come personaggio diventa leggermente dimenticabile, facendo sembrare ogni serie episodica di visite a domicilio più lunga di quanto non sia. A volte laborioso, ma mai lento, Home Sweet Home si presenta alla Berlinale come un ritratto di un ambiente di lavoro spesso emotivamente travolgente, e la sua rappresentazione è abbastanza forte da sostenere il suo peso per tutto il tempo. Tuttavia, non riesce mai a trasmettere l'urgenza necessaria per catturare completamente lo spettatore alla luce della sua lunghezza.
Home Sweet Home è una produzione danese di Zentropa Entertainments; TrustNordisk cura le vendite internazionali.
(Tradotto dall'inglese)
Photogallery 16/02/2025: Berlinale 2025 - Home Sweet Home
8 immagini disponibili. Scorri verso sinistra o destra per vederle tutte.



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