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BERLINALE 2025 Panorama

Recensione: I Want It All

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- BERLINALE 2025: Luzia Schmid dipinge un ritratto colorito, anche se un po' banale, di una grande dama dell'intrattenimento tedesco

Recensione: I Want It All

“Voglio tutto o niente”, sono i primi versi che sentiamo, cantati con voce fumosa da una donna dalle folte ciglia scure davanti a spettatori eccitati. Una scivolata giocosa sul palcoscenico, un'oscillazione, un ammiccamento occasionale. L'attrice, doppiatrice, chansonniere e autrice tedesca Hildegard Knef ha sempre saputo come affascinare il suo pubblico. La regista di I Want It All [+leggi anche:
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 Luzia Schmid non avrebbe potuto scegliere un titolo e un tema più appropriato per il suo documentario sull'artista, una donna sempre alla ricerca della prossima sfida, che ha lottato con i lati oscuri della fama, che ha attraversato lunghe fasi di successo e di fallimento ed è sempre riuscita a reinventarsi.

Il film, presentato in anteprima nella sezione Panorama della 75ma Berlinale, ripercorre la vita di Knef attraverso documenti storici, registrazioni video e audio, estratti di film, concerti e libri e interviste della figlia Christina Gardiner o dell'ultimo marito, Paul Rudolf Freiherr von Schell zu Bauschlott. Scartando qualsiasi necessità di una cronologia, saltiamo direttamente all'apice della sua fama di cantante di chanson negli anni '60, osservando la Knef mentre si esercita con la big band e una voce fuori campo parla, con le sue stesse parole, del suo bisogno di fama e della sua paura di essa. Un minuto dopo, il film torna agli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale, e Knef si sposta tra le macerie di Berlino con la sua famiglia, intenzionata a diventare una star.

Schmid vuole chiaramente dipingere il ritratto di una donna che ha scelto la propria strada, una donna che è diventata famosa nella Germania conservatrice del dopoguerra, che era circondata da uomini che la giudicavano e cercavano di incasellarla, il cui stile di vita anticonvenzionale l'ha resa un'icona, una nemica e un nome popolare sui tabloid. Il film si srotola come un tappeto dalla sua prima notorietà in Germania, il suo primo tentativo fallito di sfondare a Hollywood, al suo ritorno a Berlino, al suo secondo periodo, questa volta di successo, a Hollywood e a Broadway, e di nuovo il  fallimento nel riportare quel successo in patria, in parte a causa delle sue scelte creative, in parte a causa dell'inserimento nella lista nera per il suo stile di vita e in parte per essere giudicata attraverso uno sguardo maschile. Un intervistatore la definisce “sfidante ma in cerca di sicurezza”. “State facendo di me 24 persone diverse”, risponde lei beffarda.

Schmid a volte incorpora le parole di Knef in modo troppo acritico nel suo film. La sua prima “carriera” hollywoodiana è davvero deragliata per essere stata etichettata come “crucca”? Perché sorvolare sulla sua dichiarazione di non essere a conoscenza di Auschwitz con un rapido segmento di intervista ed essere così acritici sul suo amore per un il direttore di una società di produzione nazista? Sembra che anche lei sia stata a volte vittima del titolo: “tutto o niente” sembra significare incorporare tutto, la vita, le riflessioni, la percezione di sé. Se da un lato questo rende il film un interessante segmento di storia contemporanea, dall'altro lo rende quasi troppo convenzionale. Ma dal film si può trarre chiaramente un messaggio: vivere la vita senza riserve, fino in fondo. Dopo tutto, dice Knef, “la vita non ci deve nulla se non la vita stessa. Tutto il resto dobbiamo guadagnarcelo da soli”.

I Want It All è prodotto dalla tedesca Zero One Film.

(Tradotto dall'inglese)

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