Recensione: Janine Moves to the Country
di Olivia Popp
- BERLINALE 2025: Jan Eilhardt ritrae gli atteggiamenti contrastanti, sia ostili che liberatori, generati dall'arrivo di un elemento queer in una comunità isolata e ignorante

"Back to the country, you like it risky / That spells violence, often thick and fast", recita una canzone nel film Janine Moves to the Country, [+leggi anche:
trailer
scheda film] presentato in anteprima mondiale al Forum della Berlinale, suggerendo i temi più oscuri che si celano sotto la sua facciata giocosa. Scritto e diretto dal regista sperimentale berlinese Jan Eilhardt, Janine Moves to the Country è un'opera d'ispirazione autobiografica e sembra la quintessenza del Forum della Berlinale, con il suo doppio effetto di essere fuori norma e sostanzialmente metatestuale.
Con un sorriso timido e i capelli scuri ramati, Janine (lo stesso Eilhardt, accreditato in questo ruolo come Janine Lear) decide di lasciare Berlino e trasferirsi in campagna per via dell'asma del suo baffuto compagno Pierre (Pierre Emö). La coppia prende in affitto una casa da una signora (Kathrin Angerer) che vive accanto con i suoi due figli adulti, Peter (Maximilian Brauer) ed Enrico (Adrian Wenzel), il secondo dei quali deve essere assistito in quanto affetto da disabilità intellettiva. Ben presto Janine scopre che quasi tutto e tutti nel villaggio sembrano essere ostili, tranne Peter, che sviluppa una strana attrazione per Janine, osservandola dalla finestra sul prato. Quando Janine entra nella sua vita, nella parte centrale del film, Peter intraprende un viaggio di scoperta con un breve tour erotico.
Sebbene duri poco più di un'ora, questa produzione berlinese decisamente radicale si presenta come più grande della somma delle sue parti, anche se gli elementi più artificiosi dell'opera ne sminuiscono l'intento complessivo. Con set interni illuminati in modo piatto e una messa in scena a volte goffa, alcune sequenza sembrano quasi tratte da un reality o una sitcom. Però la macchina da presa di Irene Cruz è fluida e intimamente vicina nei momenti giusti. La colonna sonora per clavicembalo, a volte sfacciata, a volte inquietante, in tonalità minore, si ispira a celebri opere per pianoforte dell'epoca barocca e romantica (J.S. Bach, Camille Saint-Saëns) e inquadra il villaggio come un luogo alienante.
Combinando filmati di finzione con video e foto d'archivio, il film si sviluppa come un'esplorazione del confronto di queer, trans e gender non-conforming con passati traumatici o ambienti antagonisti che nascondono qualcosa sotto la superficie. Eilhardt inquadra Janine come se stesse riflettendo su qualcosa che va oltre la storia e lo schermo, comprese le vicende di vergogna queer sia nascoste che alla luce del sole. L'elemento autobiografico suscita riflessioni sulla vita del regista, che ha iniziato a vestirsi da donna e a farsi chiamare "Janine" già durante l'adolescenza. La presenza di Janine ha un impatto ancora maggiore, che va oltre la semplice esplorazione: l'impatto sulla vita di Peter, che rappresenta l'importanza dell'esposizione e dell'impegno con altri al di fuori della propria comunità isolata.
Janine Moves to the Country è prodotto dalla tedesca Eilhardt Productions.
(Tradotto dall'inglese)
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