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BERLINALE 2025 Concorso

Recensione: Yunan

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- BERLINALE 2025: Ameer Fakher Eldin ha tentato la sfida di realizzare un film sommesso su uno scrittore esiliato che ha perso l'ispirazione e la voglia di vivere, ma ha perso la scommessa

Recensione: Yunan
Georges Khabbaz e Hanna Schygulla in Yunan

Quando il protagonista non parla molto e il suo stato interiore è dominato dalla depressione, dalla tristezza e dal senso della perdita, non sorprende che il pubblico abbia difficoltà a connettersi con lui e a partecipare al film. Purtroppo questo è il risultato del secondo film di Ameer Fakher Eldin, Yunan, in concorso alla 75ma Berlinale.

Oltre a una pletora di immagini visivamente convincenti che trasmettono adeguatamente lo stato d'animo malinconico del personaggio principale, nel film non c’è molto di più. Lo stile e il tono sono coerenti con la storia scritta da Fakher Eldin e se la sua vera ambizione era quella di permettere al pubblico di sperimentare il dispetto e la frustrazione che consumano il protagonista di Yunan, uno scrittore esiliato, ci è senza dubbio riuscito. Yunan richiede una grande quantità di energia e concentrazione durante le sue due ore di durata, eppure offre una ben misera ricompensa. Ma è comunque un risultato migliore che lasciare il pubblico completamente a mani vuote.

La storia ruota attorno a Munir (Georges Khabbaz), che ha perso la voglia di vivere. Quando lo incontriamo, si sta sottoponendo a una visita medica perché gli viene a mancare il fiato, ma tutti i motivi fisiologici sono stati esclusi. Sembra la mancanza di fiato di cui Munir soffre abbia una causa diversa. Non riusciamo a sapere molto di lui: ha una sorella che è rimasta nel suo paese d'origine e una madre che si sta lentamente distaccando dal mondo a causa della sua demenza.

Munir, che vive in una grande metropoli tedesca, si dirige verso una piccola isola ventosa e nuvolosa, molto probabilmente per chiudere con la vita. Alloggia in una piccola pensione, la cui proprietaria, Valeska (Hanna Schygulla), dopo aver inizialmente mantenuto le distanze, gli mostra calore e compassione, e questo cambierà le carte in tavola. Nel frattempo, Munir si immerge più profondamente nella piccola comunità locale, guidata dal figlio di Valeska (Tom Wlaschiha). Mentre cerca di orientarsi in tutto questo, è ossessionato da una storia spettrale di un pastore e di sua moglie; una storia che gli era stata raccontata da sua madre, ma di cui ha perso la maggior parte dei dettagli. Rintracciare ciò che è andato perduto - la storia, il suo senso di appartenenza, la sua ispirazione - diventa lo scopo del viaggio di Munir durante il suo soggiorno sull'isola, mentre il suo blocco dello scrittore continua.

La scarsità di parole nel film è compensata dalle immagini. La principale forma di comunicazione nello Yunan è quella visiva, con molte riprese lunghe del paesaggio. Tutto è intriso di tinte fredde: grigi, verdi e, naturalmente, blu. Se c'è un'immagine che rappresenta lo stato interiore di Munir con accuratezza e in grado di farsi percepire dallo spettatore, è quella di un cielo carico di nuvole spesse.

Il direttore della fotografia Ronald Plante fa un pregevole lavoro, ma, c'è sempre qualcosa di intrinsecamente freddo nella bellezza che cattura. Il silenzio e la vuota tristezza sono totalizzanti e questo è molto probabilmente il motivo per cui il film non riesce a coinvolgerci. Alcuni silenzi sono carichi di emozioni che riecheggiano con forza, mentre altri sono semplicemente privi di tensione. E quando si corrono dei rischi artistici, il fallimento è una possibilità reale.

Nella produzione di Yunan sono coinvolti Germania, Canada, Italia, Palestina, Qatar, Giordania e Arabia Saudita con Red Balloon Film, Microclimat Film e Intramovies in coproduzione con Fresco Films, Metafora Productions e Tabi360. Le vendite mondiali sono gestite da  Intramovies, mentre Mad Sales detiene i diritti per l'area del Medio Oriente e Nord Africa.

(Tradotto dall'inglese)

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