Recensione: Smell of Burnt Milk
di Andrea Vento
- Il film di Justine Bauer, che ha vinto un premio all’International Love Film Festival di Mons, è uno sguardo sulla vita rurale tedesca tra tempo ciclico e matriarcato

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scheda film], il debutto cinematografico di Justine Bauer, che ha vinto il Premio del 40° per i grandi talenti del domani all’International Love Film Festival di Mons (leggi la notizia), si distingue per la sua rappresentazione autentica ed emozionale della vita rurale tedesca. Ambientato in un’estate idilliaca, languida e persino sensuale, il film segue le vicende di Katinka, giovane donna determinata a continuare la tradizione familiare agricola nonostante le incombenti difficoltà economiche che affliggono il settore. L’unità di tempo, evidentemente solstiziale estiva, permette alle protagoniste, pur nella continuazione del proprio duro lavoro, dalla raccolta del fieno alla mungitura del latte, di soffermarsi a riflettere sul presente e sul futuro. Tra i tanti atavismi, anche quello dei bagni nel fiume, al contempo rituali, ma anche portatori di confronto dialettico tra le ragazze.
Siamo nel Baden-Wuerttemberg, e la regista Bauer, cresciuta in un allevamento di struzzi, porta sullo schermo una prospettiva unica e personale, concentrandosi sulle donne agricoltore, spesso trascurate nel cinema. Il film mostra la realtà della vita rurale in modo realistico e accattivante, rimanendo lontana dagli stereotipi. Katinka, interpretata da Karolin Nothacker, è una figura forte e volitiva, che incarna le sfide e le aspirazioni delle giovani donne che vogliono mantenere viva la tradizione agricola.
Per Bauer, il matriarcato gioca un ruolo significativo nella narrazione, grazie a temi come la resistenza e la determinazione femminili, ma anche il suggerimento della critica alle società tradizionali (e quindi “patriarcali”). Forse una citazione inconsapevole, ma Bauer mette in luce, svecchiandolo, il pensiero millenario di Robert Graves nel suo capolavoro La Dea Bianca. Ruolo fondamentale hanno le altre figure femminili centrali: oltre a Katinka anche la nonna e la madre, donne che rappresentano la continuità e la tradizione nella gestione della fattoria, la saggezza e l’esperienza accumulate negli anni nonostante le sfide economiche e sociali del futuro. La nonna Emma, in particolare, porta con sé ricordi di un passato più prospero, aggiungendo una nota di nostalgia alla storia. Si tratta di Lore Bauer, proprio la nonna della regista, venuta meno nello scorso autunno. Gran prova di versatilità attoriale è quella della madre, interpretata da Johanna Wokalek, che i più attenti osservatori ricordano per l'eccellente interpretazione di Gudrun Ensslin nel film di Uli Edel La banda Baader Meinhof [+leggi anche:
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scheda film]. Vi è infine la sorella Anna, rimasta incinta di un ragazzo del paese ed evocatrice di un leitmotiv del film, ovvero la castrazione del maschio, in tutte le sue forme.
Ecco che la castrazione assume un ruolo simbolico e narrativo significativo, aggiungendo profondità e complessità alla storia. Anche in questo caso si può ricorrere all’atavismo della civiltà rurale con il mito di Kronos che castra con il falcetto il padre Urano: ma questo, nella sua ciclicità (da cui si badi nasce Afrodite, dea dell’amore e del sesso) era rituale riservato ai maschi. Ovvero del maschio giovane, figlio, che castrava il maschio vecchio, padre. Qui Bauer ci prende per mano e porta in un ambito quasi festoso. La scena finale della castrazione del lama (e di un gatto …) è un momento cruciale che riflette le tematiche centrali del film, come la gestione delle emozioni e il controllo delle pulsioni, sia negli animali che negli esseri umani, laddove anche la veterinaria è donna e le sorelle di Katinka sembrano vivere con gioia rituale questo particolare momento di riunione familiare. Nel film di Bauer, gli animali sono anche protagonisti, tant’è che meritano i titoli di coda, e tutti amano Anton, per definizione un gigantesco bue… Mentre i maschi (umani) sono meno protagonisti, o almeno hanno una utilità limitata, frustrante e frustrata. È il caso del giovane relegato alla funzione riproduttiva con la sorella Anna e il triste vicino agricoltore che tenta, in ogni modo e senza successo, di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi del settore agricolo, fino a giungere al suicidio.
In sintesi i temi che tocca Bauer non sono nuovi (si pensi al britannico The Levelling [+leggi anche:
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scheda film] e lo statunitense Farmsteaders, per citare i più recenti) ma la prospettiva è al contempo estremamente innovativa e liminale, con la freschezza del trionfo femminile e l’attenzione al tempo ciclico estivo (altro tribute che ricorda i folk horror The Wicker Man, Midsommar e Pearl).
Nello stile e la produzione il film adotta un approccio documentaristico, utilizzando attori non professionisti che parlano nel poco comprensibile dialetto locale, il che aggiunge un tocco di autenticità alla narrazione. La scelta del formato 4:3 evita la retorica dei paesaggi ampi, concentrandosi invece sui personaggi e sulla loro quotidianità. La colonna sonora, curata da Cris Derksen, si integra perfettamente con le immagini, creando un’atmosfera contemplativa e poetica.
Nonostante un budget modesto di circa 30.000 euro, il film ha ricevuto il premio per la miglior produzione al Filmfest di Monaco. Questo riconoscimento è un tributo alla dedizione e alla creatività di Bauer, che ha coinvolto la sua famiglia e amici nella produzione, dimostrando come la passione possa superare le limitazioni economiche.
Smell of Burnt Milk è prodotto da Kunsthochschule für Medien Köln (Germania).
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