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CINÉMA DU RÉEL 2025

Recensione: Yvon

di 

- Marie Tavernier offre un ritratto appassionato, sensibile e frammentato di un autodidatta che ha lavorato 43 anni della sua vita nel settore del subappalto nucleare

Recensione: Yvon

"Quando smistavo rifiuti altamente radioattivi in modo non sicuro, a fine giornata avvertivo un formicolio alla punta delle dita". Nella sua modesta casetta, curvo sul computer, il sindacalista Yvon, unico protagonista dell'omonimo e coinvolgente documentario diretto da Marie Tavernier e presentato in concorso al 47mo Festival Cinéma du réel, cerca di dare voce alla storia della sua vita ("nessuno può derubarmi di ciò che sto scrivendo ora"). I ricordi riaffiorano, i pensieri si fanno espliciti e anche i sogni fanno occasionalmente la loro comparsa in questa storia di un uomo la cui traiettoria come operaio in un settore particolarmente pericoloso e angosciante viene lentamente ricostruita in questo ritratto toccante, ellittico e profondamente personale.

"I nostri capi gestivano il lavoro in base alle dosi (…) Parlavano delle dosi a cui le persone erano state esposte, le confrontavano". Immergendosi nuovamente nell'opprimente arena degli edifici dei reattori, delle ingombranti tute protettive e dei soffocanti caschi ventilati, Yvon ripercorre la sua carriera (trascorsa in centrali elettriche che vanno da Tricastin a Fessenheim passando per Saint-Laurent-des-Eaux) nel mondo dei subappalti per la bonifica nucleare, governati dalla spada di Damocle ("non ci faremo friggere") dei REM (unità di misura delle dosi di radiazioni ionizzanti che producono lo stesso effetto biologico di una dose assorbita di normali raggi X). Sollevando il velo sulle carenze di sicurezza nelle condizioni di lavoro del passato (che comportavano terrificanti rischi per la salute a lungo termine), su una vita solitaria e ansiosa fatta di lunghi viaaggi lontano dalla famiglia, sui profili di emarginazione sociale dei lavoratori reclutati da questo settore e sulla sua iniziazione ai circoli sindacali da autodidatta, il nostro neo-scrittore ha molto da dire, e gli piace anche parlare. E la sua introspezione attraverso l'obiettivo della macchina da presa ci riporta lentamente alla sua dolorosa infanzia...

"Nella piazza del villaggio, il mercante di cavalli vendeva i cavalli più stanchi, truffando i suoi clienti". Questo ricordo della giovinezza di Yvon – che rispecchia anche il suo coinvolgimento nel subappalto dei lavori più ingrati dell'industria nucleare ("esporre i dipendenti sulla piazza del mercato, toccarli e giudicarli, eventualmente sceglierli e mandarne alcuni al macello"), come già esplorato da Rebecca Zlotowski nel suo film di finzione Grand Central [+leggi anche:
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(2013) – fornisce a Marie Tavernier un approccio narrativo incredibilmente pertinente. Conferendo un'intelligente dimensione metaforica di lotta di classe a un documentario che unisce grande semplicità (l'autoritratto di un uomo toccante e senza pretese) a un montaggio sapiente (filmati d'archivio che mostrano la costruzione di centrali elettriche, brevi sequenze che offrono una pausa nella vita quotidiana del protagonista e un intreccio temporale di ricordi con aspetti personali e professionali della sua esistenza), la regista riesce a informarci sul tema dell'energia nucleare in modo edificante, artigianale e creativo. Ma soprattutto, rende un meraviglioso omaggio a un essere profondamente umano in cerca di libertà in un mondo che cerca di far sì che i casi di contaminazione e decontaminazione restino invisibili.

Yvon è prodotto da La Société des Apaches e coprodotto da Lyon Métropole TV.

(Tradotto dal francese)

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