Recensione: Aurora
- João Vieira Torres ci invita ad assistere a un rituale cinematografico in cui invoca le sue ave defunte per meglio comprendere sé stesso e la libertà che lo abita

Presentato in prima mondiale nel Concorso internazionale lungometraggi di Visions du réel, Aurora, il primo, potente lungometraggio del regista d’origine brasiliana João Vieira Torres viaggia senza paura fra il mondo dei vivi e quello dei morti che gli sussurrano all’orecchio frasi criptiche piene di poesia. Il film nasce da un sogno fatto dal regista in cui incontra sua nonna Aurora, levatrice che ha fatto nascere moltissimi bambini e che si è presa cura delle loro madri. Nel sogno, la nonna che João non ha mai conosciuto, gli chiede di ritrovare quelli e quelle che ha visto nascere. Più il film avanza e più ci rendiamo conto che questi “bambini” messi al mondo da Aurora non sono solo esseri umani in carne ed ossa ma anche concetti: il bisogno di emanciparsi da una società patriarcale soffocante, la necessità di esprimersi senza paura e di essere semplicemente se stessi.
Sebbene il nome della nonna del regista evochi la prima luce del giorno, è nelle tenebre che il film si avventura per distillarne verità difficili da esprimere. Partito ancora giovane dal suo Brasile natale e approdato in Francia dove ha studiato all’École Nationale Supérieure de Arts Décoratifs di Parigi, è nel cuore della storica regione del Sertão di Bahia con la sua vegetazione ricca di piante curative e la sua terra arida che João Viera Torres cerca di ricostruire una storia “al femminile” di cui anche lui fa parte. Durante questo viaggio iniziatico che comincia in Francia, in una misteriosa biblioteca-casa protetta da innumerevoli piante dalle radici aeree, per poi precipitare nell’oscurità della violenza subita dalle donne che l’hanno preceduto, fino a ritrovare la luce e il calore di una famiglia scelta, il regista si lascia trasportare dalla voce di Aurora. È lei, la sua storia che vive nei ricordi di chi l’ha conosciuta, che si trasforma in catalizzatore di una genealogia famigliare marcata da minacciose zone d’ombra.
Quello che colpisce è la capacità che i luoghi filmati dal regista hanno di custodire energie represse che sembrano aspettare, anche a distanza di moltissimi anni, l’arrivo di qualcuno che possa liberarle. Intrappolate in questa ragnatela di non detti, di ricordi evocati sottovoce e di violenze vissute come fatalità, ritroviamo numerose antenate del regista: da colei che ha vissuto la repressione a causa delle sue origini autoctone, alle sue due zie uccise perché troppo emancipate, fino a sua cugina rigettata dalla famiglia a causa di una gravidanza extraconiugale. Tutte queste donne, come perle di una stessa collana che il regista indossa con orgoglio, sono messe sotto i riflettori, riscattate da un destino che si sono rifiutate di accettare. Quello che si è sempre preferito considerare come una maledizione si rivela essere il frutto di una storia di violenza e dominazione patriarcale che si trascina da una generazione all’altra e che marca ancora oggi a fuoco il Brasile. Se la repressione cambia nome: schiavitù, evangelizzazione, sessismo, omofobia, la violenza invece resta tale, cieca e testarda.
Grazie al suo film e alla presenza discreta ma forte di Aurora, João Vieira Torres compie il suo proprio rituale di purificazione, cerca, nell’incontro con la natura e nella decostruzione di immaginari stereotipati come quello della famiglia “di sangue”, di imporre la propria storia che è anche quella di coloro che l’hanno preceduto.
Aurora è un film che non ha paura di perdersi nelle tenebre dei ricordi, di confrontarsi con fantasmi che vogliono ritrovare la propria voce. Grazie al suo sguardo preciso e metaforico, il regista riesce a far parlare le piante, la terra e tutto ciò che ancora custodisce la storia di chi si è tentato di cancellare. Come sussurra Aurora in sogno a suo nipote: “non ho più una voce ma continuo a parlare”.
Aurora è prodotto da Duas Mariola Filmes (Brasile) e coprodotto da Primeira Idade (Portugal) e Spectre Productions (Francia).
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