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VISIONS DU RÉEL 2025

Recensione: Nuit obscure - "Ain’t I a Child?”

di 

- Per l’ultimo capitolo della sua toccante trilogia sulla migrazione, Sylvain George approda con i suoi protagonisti a Parigi, una città dove lo splendore flirta con la miseria

Recensione: Nuit obscure - "Ain’t I a Child?”

Dopo aver filmato i suoi giovani protagonisti a Melilla, enclave spagnola in Marocco che serve da base verso la tanto agognata Europa, Sylvain George continua il suo viaggio a Parigi dove Malik, Mehdi e Hassan sono approdati. Presentato in prima mondiale nel Concorso internazionale lungometraggi di Visions du réel, Nuit obscure - "Ain’t I a Child?” è un saggio cinematografico pieno di poesia che ridà dignità a corpi feriti nel profondo che sfuggono al dolore attaccandosi alle briciole di speranza che ancora li abitano. La fantasia si trasforma allora in unico balsamo che riesce, anche solo per un momento, quando le palpebre si chiudono e i protagonisti del film sono rapiti da Morfeo o quando le droghe li portano lontano, ad anestetizzare un dolore profondo che diventa abissale.

Il film, terza parte della trilogia sulle politiche migratorie del regista (dopo Nuit obscure - Feuillets sauvages (Les brûlants, les obstinés) [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
et Nuit obscure – Au revoir ici, n’importe où [+leggi anche:
recensione
trailer
intervista: Sylvain George
scheda film
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), comincia con una serie di immagini, filmate con un cellulare, di un gruppo di ragazzini, quasi dei bambini, che, a bordo di uno Zodiac, gridano estasiati “L’Europa, l’Europa!”. Una gioia piena di speranza che, nel film, si scontra con una realtà ben più cupa fatta di violenza e miseria ma anche di fugaci momenti di fratellanza e tenerezza. Ciò che per noi sembra banale come tagliarsi i capelli o abbracciarsi è, per i protagonisti del film, un atto rivoluzionario, la rivendicazione di corpi che continuano ad esistere malgrado la violenza subita, corpi che sanno ancora scaldarsi con la poca umanità che gli resta. Sole immagini a colori di un film dominato da un maestoso e poetico bianco e nero, quelle iniziali sembrano riflettere la gioia, quasi l’estasi dei protagonisti convinti che, alla fine del tunnel ci sia per forza la luce. Anche se può sembrare assurdo che una tale speranza continui ad abitarli dopo tutto quello che hanno vissuto, questa è l’unica a permettergli di continuare a vivere in una realtà che li rigetta, giorno dopo giorno. Eppure, senza la speranza, cosa gli resterebbe?

Vero e proprio torrente in piena, il film, di una durata complessiva di 164 minuti, non vuole essere un trattato sulle politiche migratorie, ma piuttosto l’osservazione minuziosa di una situazione sempre più complessa. Il suo obiettivo è quello di penetrare questa stessa realtà dall’interno mettendosi allo stesso livello di chi la vive sulla sua pelle, costringendo lo spettatore a fermarsi e ad osservare quello che, spesso, evita di guardare per non provare quel senso di disagio, di colpevolezza che immancabilmente lo sopraffà. Sempre a pochissima distanza dai suoi protagonisti, la cinepresa si avvicina ai loro corpi svelando quello che cercano di nascondere: una cicatrice, un dente rotto, lo sfogo naturale di una pelle d’adolescente. Questi dettagli, apparentemente banali, ridanno umanità e concretezza a esseri umani che abitano le nostre città come ombre, che occupano spazi angusti, oscuri e sporchi che i “comuni cittadini” sfuggono.

Il film sembra partire dalla costatazione che le politiche migratorie, così come sono concepite, sono fallimentari e portano con sé tragedie umane che abitano in silenzio le nostre città europee. La domanda che la sua trilogia si pone è allora come, allo stesso modo che le piante che crescono nel cemento, i corpi di quanti sono sopravvissuti fino in Europa si adattano a questo fallimento, sopravvivono alla tragedia, si impadroniscono e plasmano i luoghi che li attorniano e rigettano.

Come i suoi predecessori, il film è poetico e politico, delicato e necessario che ridà dignità a un’infanzia rubata che continua miracolosamente a vivere nella speranza di chi, ogni giorno, sbarca in Europa alla ricerca di una vita migliore.

Nuit obscure - "Ain’t I a Child?” è prodotto da Noir Production (Francia), Alina Film (Svizzera), Kintop (Portogallo) e RTS Radio Télévision Suisse.

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