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CANNES 2025 Quinzaine des Cinéastes

Recensione: L’Engloutie

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- CANNES 2025: Immergendosi nel 1900 in un piccolo e isolato villaggio di montagna in pieno inverno, Louise Hémon realizza un primo lungometraggio molto originale e suggestivo

Recensione: L’Engloutie
Galatéa Bellugi in L’Engloutie

"Ti ho visto stamattina in montagna, ma avrei dovuto incontrarti stasera in mare". Adattato localmente e narrato da un'anziana signora accanto al fuoco in dialetto occitano, nel cuore di una profonda notte invernale alpina e precisamente a cavallo tra il XIX e il XX secolo, il mitico racconto dell'appuntamento a Samarcanda, quell'incontro inevitabile con la Morte da cui non ha senso fuggire, non è certo ambientato a caso in L’Engloutie [+leggi anche:
intervista: Louise Hémon
scheda film
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di Louise Hémon, presentato alla Quinzaine des Cinéastes (parte del 78mo Festival di Cannes). "Il tempo scorre in modo diverso per ognuno", e nel suo primo lungometraggio, la regista lo dimostra in modo intrigante, mentre natura e spirito, superstizione ed educazione si scontrano tra cime innevate immutabili e minacce di valanghe.

Basata sul principio del "pesce fuor d'acqua", la trama (la sceneggiatura è scritta dalla regista con Anaïs Tellenne, in collaborazione con Maxence Stamatiadis) vede una giovane maestra di nome Aimée (Galatéa Bellugi) arrivare in un piccolo villaggio nell'alta valle del Vénéon alla luce delle lanterne e durante una gelida tempesta. Leggendo Cartesio e spinta dalla sua fede nelle virtù emancipatorie dell'educazione repubblicana e del progresso scientifico, si trasferisce in uno chalet molto rustico (con tanto di mucche all'interno) e le viene affidato il compito di insegnare (in francese) a quattro bambini che vivono in tre case più in basso, abitate da una manciata di persone. Le madri lavorano come domestiche nella valle durante l'inverno, mentre altri sono partiti per climi più miti in Algeria e in California ("tutti pensano che lì sia meglio, ma non lo sappiamo, nessuno è mai tornato").

Alfabeto, planisfero, scrittura a penna ("ora la storia è qui e non potrete mai più dimenticarla"), igiene ("un'arma: il bagno, una volta al mese"): Aimée trasmette il suo sapere, ma a volte si scontra anche con le credenze locali ("li farai ammalare, la crosta sulla testa protegge il cervello", "se congeli la storia, morirà", "bisogna lasciare la finestra aperta perché l'anima del morto possa fuggire"). Tuttavia, con il passare dei giorni, viene anche introdotta alle esigenze e ai rituali di un'esistenza dura (bare sui tetti fuori dalla portata degli animali fino all'arrivo della primavera per poter dissotterrare la terra, storie raccontate la sera, feste con danze, maschere e "gouchettes", pane imbevuto di vinaccia, illuminato a lume di candela e ingoiato ancora caldo). Poi c'è la febbre del desiderio sotterraneo e due giovani della sua età (Samuel Kircher e Matthieu Lucci). E la morte in agguato...

Girato con un'intensità e una prossimità quasi documentaristiche in un'imponente cornice innevata e con una topografia altamente visiva, L’Engloutie è un'opera originale dall'atmosfera molto forte, grazie in particolare al lavoro “bergmaniano” sull'oscurità della direttrice della fotografia Marine Atlan e alla musica inquietante di Émile Sornin (che include onde Martenot, una cassa di risonanza, flauto e percussioni). Un'atmosfera di straordinaria originalità che contraddistingue una regista che ha ancora margini di miglioramento, ma che possiede uno stile davvero inconfondibile.

L’Engloutie è prodotto da Take Shelter e coprodotto da Arte France Cinéma. Kinology cura le vendite internazionali.

(Tradotto dal francese)

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