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CANNES 2025 Un Certain Regard

Recensione: I Only Rest in the Storm

di 

- CANNES 2025: Il cineasta portoghese Pedro Pinho realizza una cronaca epica di un espatriato che lavora per una ONG e scopre se stesso in Guinea-Bissau

Recensione: I Only Rest in the Storm
Cleo Diára e Sérgio Coragem in I Only Rest in the Storm

Sérgio (Sérgio Coragem), un cooperante portoghese dai capelli ricci, gestisce la pressione in pubblico, ma si inaridisce nella vita privata. Nel suo impegnativo ma gratificante lavoro per una ONG che opera nel paese dell'Africa occidentale e membro del Commonwealth lusofono, la Guinea-Bissau, c'è qualcosa che lo tormenta, e ha a che fare con la sua nevrosi riguardo alla sua complicata vocazione, così come con la sua libido frustrata. L'epopea di Pedro Pinho, della durata di tre ore e mezza, I Only Rest in the Storm [+leggi anche:
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, non riesce a fornire risposte a Sérgio, né una catarsi, ma è comunque una finestra coinvolgente sulla sua vita e le sue tribolazioni. Dopo il successo del suo film The Nothing Factory [+leggi anche:
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alla Quinzaine des Réalisateurs 2017, il nuovo lungometraggio di Pinho è stato presentato in anteprima nella sezione Un Certain Regard.

Dunque, la durata. Considerando che anche il suo precedente lungometraggio raggiungeva la bellezza di 177 minuti, la durata è ovviamente fondamentale per la visione artistica di Pinho, e I Only Rest in the Storm necessita di questa ampiezza per la varietà di temi disparati che esplora e per approfondire la caratterizzazione dei personaggi (anche se si potrebbe dire che uno dei suoi personaggi chiave, Guilherme – interpretato da Jonathan Guilherme – sia ancora poco valorizzato dalla traiettoria della storia). È un film ipnotico, seppur impegnativo, di 211 minuti, ma risulterebbe scarno e incompiuto se fosse di 45 minuti più corto. Bisogna lasciarsi trasportare dal suo flusso in modo esperienziale e impostare il proprio orologio biologico sulla nota nozione culturale di "tempo africano". E quasi per premiare gli spettatori per la loro incrollabile concentrazione, Pinho ci "regala" una scena di sesso incredibilmente grafica e recitata in modo naturale a circa due terzi del film.

Come in una versione meno incalzante di Toni Erdmann [+leggi anche:
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, Sérgio deve spostarsi da una parte all'altra del paese, supervisionando l'installazione di servizi idrici e progetti di ingegneria civile, mentre la telecamera del direttore della fotografia Ivo Lopes Araújo gli aleggia alle spalle come un raffinato documentarista d'osservazione, permettendoci di assistere a tutto ciò in prima persona.Alcuni spettatori potrebbero non essere d'accordo, ma Pinho chiarisce che questo rapporto di aiuti post-coloniali e diplomazia funziona, nonostante qualche occasionale inciampo nel suo sviluppo.Naturalmente, la sua sceneggiatura mette in discussione in modo netto il concetto di "salvatore bianco" ed evidenzia come questo rapporto post-indipendenza assomigli più a un patto neocoloniale tra un padrone e il suo ex suddito.

Sebbene le sue responsabilità professionali funzionino bene in senso macro, Sérgio sa che c'è qualcosa di moralmente discutibile in ciò che sta perseguendo, ed essendo un essere umano con dei bisogni, cerca uno sfogo nella socializzazione e nel sesso. La sua esistenza da espatriato è in contrasto con quella della sua vicina Diára (l'eccellente Cleo Diára) e della sua elegante cerchia di amici. Lei stessa riesce a sopravvivere grazie a una certa ricchezza ereditata e alla sua indipendenza (rispetto a sua madre nel suo vecchio villaggio, come vediamo in una vivida sequenza verso la fine del film), sebbene sia anche minacciata dalle crescenti macchinazioni capitaliste della Guinea-Bissau urbana. Sérgio la corteggia romanticamente, come fanno altri uomini, e viene enfatizzato il suo desiderio sessuale per vari uomini della Guinea-Bissau, il che è legato all'infrastruttura di aiuti che lui stesso realizza e impone loro.

Sérgio trasmette la vaga sensazione di essere un analogo della posizione di Pinho: osserva dall'esterno, chiedendosi se il suo posto sia davvero lì o se stia oltrepassando alcuni limiti. Questa dinamica rende I Only Rest in the Storm leggermente autoconsapevole, ripiegato su se stesso e incentrato sui propri temi, ma c'è anche bellezza nel suo confronto con il dubbio e l'ambivalenza.

I Only Rest in the Storm è una produzione di Portogallo, Francia, Brasile e Romania, guidata da Uma Pedra no Sapato, Terratreme Filmes, Still Moving, Bubbles Project e deFilm. Le vendite mondiali sono affidate a Paradise City Sales.

(Tradotto dall'inglese)

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