19/05/2025 - CANNES 2025: Harris Dickinson debutta come regista con questa sorprendente rappresentazione della dipendenza che coniuga commedia leggera e profondità emotiva

C'è qualcosa di interessante nei film con una premessa semplice e che riescono comunque a sembrare stratificati e costruiti con cura. C'è anche qualcosa di notevole nei film che sembrano impostare un arco narrativo che sembra familiare, per poi prendere pieghe inaspettate che mettono in discussione la percezione dei protagonisti e le ipotesi sulla direzione della storia. In momenti come questi, fare un passo indietro come spettatore e lasciare che il film si svolga alle sue condizioni può rivelare tutto il valore di vivere una storia senza doverla controllare o prevedere. Urchin [+leggi anche:
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scheda film] ha entrambe queste caratteristiche allo stesso tempo.

In questo debutto nel lungometraggio di Harris Dickinson, presentato a Cannes in Un Certain Regard, Frank Dillane è Mike, un personaggio imprevedibile il cui passato rimane per lo più oscuro e il cui futuro è altrettanto incerto, poiché l'uomo attraversa alti e bassi nel corso del film e cambia il suo atteggiamento nei confronti della vita man mano che gli eventi si susseguono. All'inizio lo vediamo, senza fissa dimora, chiedere l'elemosina senza successo nel centro di Londra, fino a quando un uomo decide di aiutarlo. Per poi essere derubato nel giro di pochi minuti. Da quel momento in poi, Mike cercherà di fare del suo meglio per sfuggire all'attrazione della tossicodipendenza e dell'abuso di alcool, lavorando e diventando socievole, anche se la scala della redenzione è difficile da scalare.

Con il suo aspetto trasandato e la sua inquietante somiglianza con un giovane Johnny Depp, il Mike di Dillane attira l'attenzione del pubblico fin dall'inizio e la mantiene per tutto il film. In una scena, sembra che si rifaccia al Travis Bickle di Taxi Driver, tirando pugni in aria e parlando con una figura immaginaria. Momenti come questo suggeriscono un legame tra Mike e altri personaggi iconici o, più in generale, tra Urchin e film simili. Alcune delle sequenze più stilizzate (come il mondo sotterraneo parallelo o il finale stesso) evocano alcune delle scene visivamente più audaci di altri successi britannici come Trainspotting e Under the Skin [+leggi anche:
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intervista: Jonathan Glazer
scheda film]. È anche difficile non pensare all'opera di Ken Loach, anche se Urchin adotta indubbiamente un tono più pop.

Tutti i personaggi secondari ruotano intorno a Mike, un "astro" intossicato che non riesce a mantenere la concentrazione su nessuno di loro per troppo tempo, anche quando l'amore sembra essere a portata di mano. Mentre tutta l'attenzione è rivolta a Dillane, e per fortuna, lo stesso Harris Dickinson si trova a interpretare Nathan, un personaggio marginale che sembra essere l'unico legame con la vita precedente di Mike. Infatti, pur facendo del suo meglio per rimanere in carreggiata, il protagonista sceglie di ignorare Nathan quando lo incontra per caso, come se volesse tenere a distanza le sue vecchie abitudini.

C’è una combinazione di elementi che rende Urchin un film interessante e un esordio incredibilmente ben realizzato, due dei quali sono un ottimo sound design e una colonna sonora perfettamente selezionata, che elevano le immagini e si adattano perfettamente al montaggio. Il più grande punto di forza dell'opera resta il suo rifiuto di giudicare. Non ritrae il suo protagonista come meritevole di compassione solo a causa delle sue battaglie e né lo condanna apertamente per le sue azioni dannose. Infine, ma non per questo meno importante, la sceneggiatura introduce diversi momenti di commedia leggera che riescono a trovare un equilibrio tra il pieno umorismo e il melodramma che avrebbe potuto facilmente emergere come dominante da una trama simile, se non fosse stato nelle abili mani di Dickinson.

Urchin è prodotto dalle britanniche Somesuch, Devisio Pictures, BBC Films, il BFI e Tricky Knot. Le vendite internazionali sono affidate a Charades.

(Tradotto dall'inglese)