Recensione: Come fratelli
- La terza prova di Antonio Padovan è un film tenerissimo e lontano dai schemi della commedia italiana su un’amicizia maschile segnata dal desiderio di vicinanza e consapevolezza della separazione

Quale osservatorio più privilegiato dei buddy movies e in genere i film sull’amicizia per analizzare le dinamiche sociali, i cambiamenti culturali e i valori di un’epoca, considerando che questo sotto-genere della commedia svolge un ruolo fondamentale nella rappresentazione delle relazioni umane? Non sfugge a questa raffigurazione dell’amicizia come motore di crescita personale e superamento delle difficoltà, il nuovo film di Antonio Padovan, Come fratelli, dopo il bell’esordio nel 2016 di Finché c’è prosecco c’è speranza [+leggi anche:
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scheda film] (nominato a tre Globi d’Oro) e Il grande passo [+leggi anche:
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scheda film] nel 2019, in concorso a Torino, dove i due attori Giuseppe Battiston e Stefano Fresi vincono ex aequo il premio come Miglior Protagonista. Quest’ultimo, nella sua spielberghiana rappresentazione poetica del rapporto tra due fratelli dissimili, è il banco di prova di Come fratelli che, dopo la premiere fuori concorso al Festival di Taormina, arriva il 26 giugno nelle sale italiane con 01 Distribution.
Ambientato a Treviso, il film si apre in realtà con un’amicizia femminile, quella tra Melissa (Paola Buratto) e Sabrina (Mariana Lancellotti), entrambe in attesa di un bambino, che partoriscono nello stesso giorno e che tempo dopo finalmente si regalano una serata in discoteca (un po’ disorientate), lasciando i neonati Michele e Samuele a casa con i papà Giorgio (Francesco Centorame) e Alessandro (Pierpaolo Spollon). Un tragico e improvviso incidente strappa le due giovani mamme a questo mondo ma l’intenzione del film di rimanere nei binari della commedia ci viene segnalato già dagli occhiali scuri femminili con montatura rossa indossati dall’anticonformista Alessandro ai funerali. Si tratta ora di elaborare il lutto e cambiare decine di pannolini a due bimbi che piangono tutto il tempo. Tre mesi dopo, la domanda: perché non vivere assieme e darsi una mano per gestire vita e lavoro (Alessandro fa il fisioterapista a casa, mentre Giorgio dirige il museo dedicato ad Antonio Canova)? Passati quattro anni i due bambini trattano i due padri come fossero entrambi genitori e qui il film offre una bella rappresentazione di come una famiglia con genitori dello stesso genere sia capace di offrire un ambiente stabile, affettivo e funzionale. Allo spettatore che si chiede se il rapporto tra i due amici si basi su una omosessualità più o meno latente, risponde il plot twist a metà film: dopo quattro anni di lutto e castità strettamente osservata, Giorgio si è innamorato della dottoranda che lavora con lui al museo, Nöel (Ludovica Martino, Il mio posto è qui) e vuola andare a vivere con lei. Alessandro è letteralmente sconvolto da questa rivelazione, e da una prospettiva in cui i due bambini dovranno separarsi e la simbiotica routine quotidiana si trasformerà in occasionali visite reciproche.
Antonio Padovan sfrutta i suoi studi di cinema New York e la lunga esperienza nel mondo della pubblicità tra Stati Uniti, Europa e Asia per trasformare la calibrata e vivace sceneggiatura di Martino Coli in un film serrato, senza tempi morti, all’apparenza semplice ma di notevole spessore umano. Il regista è particolarmente accorto nel dirigere i due protagonisti, facendo emergere l’eccentrica dolcezza e premura del personaggio di Alessandro e la goffaggine del virtuoso Giorgio, dei quali viene spiegata l’origine dell’amicizia in un flashback. Ne risulta un film tenerissimo e molto lontano dai soliti schemi della commedia giovanile italiana, che sottolinea quello che Jacques Derrida ha individuato come il carattere paradossale alla base dell’amicizia, segnata da una tensione tra il desiderio di assoluta vicinanza, di apertura radicale verso l’altro, e la consapevolezza della perdita e della separazione. In un’epoca segnata dall’individualismo, è una promessa che si dà nel tempo, una fede nell’altro che deve resistere anche alla prova del lutto e della distanza.
Come fratelli è prodotto da Pepito Produzioni con Rai Cinema.
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