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KARLOVY VARY 2025 Concorso

Recensione: Don't Call Me Mama

di 

- Il lungometraggio d'esordio di Nina Knag esplora i limiti del desiderio e l'asimmetria del potere attraverso una storia d'amore proibita

Recensione: Don't Call Me Mama
Tarek Zayat e Pia Tjelta in Don't Call Me Mama

Il film d'esordio della regista norvegese Nina Knag, Don’t Call Me Mama [+leggi anche:
trailer
intervista: Nina Knag
scheda film
]
, presentato in anteprima mondiale al concorso Crystal Globe del Festival di Karlovy Vary, esplora la graduale erosione dei confini personali e di genere. Don't Call Me Mama esamina la fragile interazione tra potere, desiderio e vulnerabilità in un'intima analisi del personaggio di una donna di mezza età il cui risveglio sessuale attraverso una relazione con un giovane rifugiato mette gradualmente a nudo le linee di frattura tra gli impulsi personali e i ruoli istituzionali.

Al centro c'è la quarantenne Eva (Pia Tjelta), insegnante di letteratura e moglie del sindaco locale Jostein (Kristoffer Joner), che stringe un legame inaspettato con il diciottenne Amir (Tarek Zayat), un rifugiato con un talento per la poesia, arrivato poco tempo prima. Inizialmente inquadrata come una storia di dislocazione emotiva all'interno dello stagnante matrimonio di Eva e Jostein, la trama fa perno su una relazione discretamente disegnata e moralmente ambivalente, che sfida le tradizionali nozioni di genere sul desiderio e il controllo. La sceneggiatura, co-firmata da Knag e Kathrine Valen Zeiner, mette in luce le complicate dinamiche di potere in gioco, anche se Don’t Call Me Mama non è Lolita al contrario.

L'esordio di Knag si svolge in un equilibrato cambio di genere e tono, iniziando come un sobrio dramma coniugale prima di trasformarsi in una storia d'amore proibito tra la donna e il rifugiato. Quella che inizialmente sembra una storia di risveglio emotivo e sessuale assume gradualmente i contorni di un dramma psicologico, mentre la proiezione di desiderio e bisogni insoddisfatti di Eva sconfina nell'ossessione e nell'autoinganno. Mentre la relazione fallisce per diverse ragioni, il film si trasforma in un thriller da camera sociale, che tuttavia si tiene lontano dal melodramma, segnato dalla crescente paranoia di Eva e dal crescente rischio personale. Le conseguenze della relazione, che minacciano la sua posizione sociale e lo status di rifugiato di Amir, sono rese con crescente tensione, sottolineando la posta in gioco politica e personale di una relazione condotta al di là di confini generazionali, istituzionali e culturali.

Filmato da Alvilde Horjen Naterstad, la fotografia adotta un registro visivo naturalistico, privilegiando inquadrature strette e luci soffuse per rispecchiare lo stato emotivo sempre più claustrofobico di Eva. La macchina da presa rimane strettamente allineata alla sua prospettiva, rafforzando l'intimità del film ed evitando una stilizzazione eccessiva. Le composizioni statiche sono utilizzate per isolare i personaggi all'interno di spazi domestici e istituzionali, riflettendo la tensione di fondo tra desiderio personale e convenzioni sociali.

Eva emerge come una protagonista moralmente ambivalente in un'interpretazione di Tjelta che bilancia moderazione e intensità emotiva, catturando la graduale trasformazione del personaggio in un'antieroina. Viene presentata come una figura degna della nostra simpatia, una donna matura alla deriva in un matrimonio senza sesso, la cui ricerca iniziale di un legame si trasforma in una relazione clandestina mantenuta con l'inganno. Quando Eva scopre l'interesse di Amir per una coetanea, la dinamica si sposta dall'intimità al controllo, con le sue azioni sempre più motivate dalla gelosia. Nell'atto finale, il film mette in primo piano l'asimmetria del potere. La storia espone il costo del desiderio quando gli viene negata la legittimità, posizionando Eva non come vittima delle circostanze, ma piuttosto come una persona che agisce di conseguenza navigando nello spazio tra impulso privato e aspettative sociali.

Don’t Call Me Mama è prodotto dalla norvegese The Global Ensemble Drama ed è coprodotto da Screen Story. REinvent Studios cura le vendite internazionali.

(Tradotto dall'inglese)

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