Recensione: Gibier
- Il regista francese Abel Ferry ci trasporta nel cuore di un macello preso di mira da un gruppo di attivisti pronti a tutto per difendere la causa animale

Il regista francese Abel Ferry presenta il suo ultimo lavoro, Gibier, in prima mondiale al Festival Internazionale del Film Fantastico di Neuchâtel (sezione Ultra Movies). Già conosciuto dal festival dove, nel 2009, ha concorso per il Narciso H.R. Giger per il miglior film con Vertige [+leggi anche:
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scheda film], che ha fatto sudar freddo molti spettatori, Abel Ferry ha ancora una volta centrato il bersaglio conquistando un pubblico esigente e affamato di sensazioni forti. Sebbene il titolo del film, che in italiano significa “selvaggina”, potrebbe farci pensare al menu di un ristorante che nessun vegano vorrebbe mai frequentare, i valori che difende non sono di certo quelli cari ai cacciatori che percorrono le nostre montagne alla ricerca delle loro prede.
I protagonisti della storia sono un gruppo di attivisti e attiviste (fra i quali, la più anziana è interpretata da Anne Richard) che vivono in comunità in piena campagna. Delusi dalla frenesia, dalla violenza e dall’indifferenza propri alla società nella quale, fino a poco tempo prima vivevano e lavoravano, i nostri difensori della causa animale hanno deciso di ritirarsi dal mondo per vivere un’utopia comunitaria. Quello che scatena la loro ira e dà il via al film è il sentimento di ingiustizia che provano rendendosi conto delle condizioni di vita atroci dei maiali che arrivano al macello locale. Per denunciare ciò che succede, decidono allora di filmare il luogo per poter in seguito postare le immagini su internet o darle in mano alla stampa. Un’azione apparentemente non troppo rischiosa che si rivela però ben più complessa di quello che i nostri eroi e eroine pensavano. A complicare il tutto ci pensa il proprietario del macello (interpretato in modo convincente da Olivier Gourmet), un aspirante politico pronto a tutto per difendere la sua preziosa fabbrica di bistecche.
Fra corse folli, armi d’ogni genere e litri d’emoglobina, Gibier mette in scena in modo credibile (e a tratti volutamente comico) la lotta fra il bene e il male, fra l’ideologia e il profitto, fra la tenerezza e la violenza. Eppure, sebbene i quattro protagonisti del film (interpretati da Kim Higelin, Marie Kremer, Mouloud Ayad e Jean-Baptiste Lafarge) siano spinti da rivendicazioni più che lodevoli, a volte la violenza che esprimono ci fa interrogare sui limiti della loro azione punitiva. Fino a che punto è lecito spingersi per difendere i propri ideali? Se all’inizio del film, che comincia con una serie di immagini insostenibili sul maltrattamento inferto a un gruppo di maiali in un macello (cuccioli compresi!), tutto sembra lecito, più la storia avanza e più la frontiera fra bene e male sembra assottigliarsi.
Squisitamente sanguinoso ma mai gratuitamente scioccante, avvincente e mai banale, il film mette in scena dei personaggi che non stonerebbero all’interno di un classico film di genere statunitense. La precisione con cui ognuno di loro è dipinto fa in modo che la storia raccontata non sia mai scontata o eccessivamente caricaturale. Gibier conferma il talento di Abel Ferry nel mettere in scena l’orrore e la violenza senza scadere nella spettacolarizzazione pura. L’ironia e l’ambiguità che impregnano il film permettono allo spettatore di provare il piacere colpevole che ogni amante di film di genere, inevitabilmente prova.
Gibier è prodotto da Phase 4 Productions, Place du Marché Productions (Francia) e Umedia (Belgio). WTFilms si occupa delle vendite all’internazionale.
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