Recensione: Jimmy Jaguar
- Bence Fliegauf utilizza una forma pseudo-documentaristica per tracciare come le voci di un demone folcloristico si evolvono in un fenomeno psicosociale

Presentato al concorso Crystal Globe del 59mo Festival di Karlovy Vary, Jimmy Jaguar [+leggi anche:
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scheda film] è l'ultima incursione dell'autore ungherese Bence Fliegauf nella narrazione ibrida. Strutturato come un finto documentario, il film esamina come una credenza marginale in un demone folcloristico si diffonda attraverso una serie di incontri non collegati tra loro, confondendo il confine tra psicosi collettiva e mito costruito.
Il film si apre con le riprese dell'interrogatorio di un giovane meccanico, Robert Kiss (Erik Major), noto come Seed. È stato arrestato insieme a un eccentrico poeta locale, Marci Balfi (Krisztián Peer). I due uomini, che non si erano mai incontrati prima, sono stati arrestati dopo aver aggredito un individuo solitario, averlo legato, caricato su una barca e abbandonato alla deriva sul fiume Tibisco. Un'indagine successiva ha rivelato che la loro vittima era un criminale di guerra serbo ricercato, nascosto nei boschi ungheresi. Interrogato, Seed offre una spiegazione improbabile: sia lui che Balfi erano posseduti da un demone di nome Jimmy Jaguar, noto semplicemente come Jagu, che li ha costretti ad agire.
Sebbene Jimmy Jaguar possa essere nominalmente descritto come una storia di possessione ispirata a elementi folk-horror, Fliegauf evita i convenzionali riferimenti di genere. Inizialmente concepito come una serie, il film comprende una serie di incontri con individui che affermano di essere stati posseduti dall'inafferrabile demone. È strutturato come una versione ungherese di The Blair Witch Project, sebbene il suo approccio abbracci gli elementi procedurali del true crime. Combinando registrazioni investigative, found footage e interviste con testimoni, il film assembla una narrazione frammentaria che ripercorre una serie di presunte possessioni che hanno portato alla formazione di una setta, il cui capo è Balfi, simile a Charles Manson.
Eppure Jagu funziona meno come un'entità malevola e più come un meme, che attrae un gruppo eterogeneo di individui, uno dei quali afferma addirittura di essere incinta del figlio del demone. La trama, che si sviluppa lentamente, si sposta gradualmente dall'indagine sulla natura di Jagu alla pianificazione di una seconda missione istigata dal demone che sembra orchestrare la vendetta contro gli abusi istituzionali.
Il film si muove fluidamente tra finzione speculativa e realismo d'osservazione, riflettendo l'estetica austera tipica di Fliegauf e attingendo a elementi di docufiction, dramma etnografico e horror psicologico. Il direttore della fotografia Mátyás Gyuricza utilizza piani medi e luci ambientali, fondendo il found footage con diverse tipologie di stilizzazione documentaristica. Più che un racconto horror tradizionale, il film si presenta come un'indagine sull'illusione collettiva, spostando ulteriormente il focus in territorio psicosociale.
Mentre la narrazione minimalista detta il tono, l'atto finale rimane sommesso. Il film si conclude in modo relativamente disadorno, anticlimatico e diretto. Riconosciuto come una produzione quasi a budget zero, Jimmy Jaguar si concentra su un'unica idea che appare troppo limitata. In definitiva, funziona più come un esercizio di tecniche di docufiction e non raggiunge la stratificazione presente nel precedente lavoro di Fliegauf, Forest - I See You Everywhere [+leggi anche:
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scheda film], nonostante una struttura altrettanto episodica e la fusione di banale e insolito.
Jimmy Jaguar è prodotto dall’ungherese FraktálFilm.
(Tradotto dall'inglese)
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