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KARLOVY VARY 2025 Proiezioni speciali

Recensione: Duchoň

di 

- Il regista slovacco Peter Bebjak racconta l'ascesa e il declino di un cantante pop cecoslovacco e analizza lo status di celebrità sponsorizzata dallo Stato dietro la cortina di ferro

Recensione: Duchoň
Vladislav Plevčík in Duchoň

Il regista slovacco Peter Bebjak ha costruito una versatile carriera di regista, a cavallo tra cinema mainstream e d'autore. Dal thriller politico The Line [+leggi anche:
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, Bebjak ha sempre esplorato individui invischiati nelle istituzioni, spesso in momenti di crisi psicologica o morale. Il suo ultimo lavoro, Duchoň, presentato in anteprima nella sezione Proiezioni speciali del 59mo Festival di Karlovy Vary, un biopic musicale retrò stilizzato, segue una traiettoria simile, ripercorrendo la rapida ascesa e la tragica caduta del "più grande talento della sua generazione", Karol Duchoň (Vladislav Plevčík), un cantante pop cecoslovacco la cui fama si è rivelata al tempo stesso abilitante e corrosiva.

Soprannominato il "Tom Jones slovacco", Duchoň sta vivendo una rinascita culturale in Slovacchia. Il film di Bebjak ricostruisce la sua traiettoria da cantante di provincia a intrattenitore di spicco, la cui carriera è stata plasmata dalle aspettative del pubblico e con il patrocinio del Partito Comunista, che ha facilitato le sue apparizioni internazionali dietro la cortina di ferro. Basato su The Earth Remembers, un'opera teatrale di Róbert Mankovecký, e adattato per il grande schermo da Jiří Havelka, il film si sviluppa come una serie di episodi. Questa struttura accentua la rappresentazione dell'ascesa fulminea di Duchoň e delle pressioni che ha dovuto affrontare, intervallata da interpretazioni delle sue canzoni più note, il tutto ambientato nel ritmo frenetico di una vita bohémien interrotta bruscamente.

Filmato dal direttore della fotografia Martin Žiaran, Duchoň adotta una palette visiva stilizzata, ispirandosi ai colori saturi del pop retrò degli anni '70 e '80. La scenografia richiama l'estetica degli studi televisivi d'epoca, mentre la messa in scena teatrale è impiegata nelle sequenze delle performance e nei montaggi. Il ritmo serrato attraversa le principali tappe della carriera di Duchoň, con uno sguardo superficiale alla sua vita personale, inclusi i rapporti con il padre (Gregor Hološka), la madre (Agáta Spišáková) che lo sostiene e la moglie Elena (Anna Jakab Rakovská), il cui iniziale incoraggiamento viene gradualmente logorato dalle tensioni della fama e dall'alcolismo.

Sebbene il film funga efficacemente da veicolo per le canzoni di Duchoň, evita di trasformarsi in un semplice tributo all'eredità del cantante. Piuttosto che approfondire la dimensione psicologica del suo declino, Duchoň predilige un approccio incentrato sulla trama, strutturata attorno a un chiaro arco narrativo di ascesa e caduta. Il film mette in primo piano la tensione tra il talento e i limiti della celebrità sancita dallo Stato, in linea con il più ampio interesse di Bebjak per gli individui che si muovono tra sistemi esterni. Sebbene tocchi i lati più oscuri della fama, il suo registro tonale si orienta più verso la commedia che verso il dramma psicologico, incorporando al contempo numerosi riferimenti alla cultura pop locale.

Pensato per attrarre sia le generazioni più anziane che quelle più giovani, Duchoň è un biopic rivolto a un pubblico nazionale più ampio. Il suo fascino, tuttavia, rimane in gran parte locale, con una risonanza limitata oltre i confini slovacchi e cechi. Pur richiamando una storia faustiana, quella di un cantante che diventa uno degli emissari culturali del regime totalitario mentre combatte i propri demoni, il focus principale del film rimane sulla fama e il conformismo in un contesto prettamente nazionale e storico.

Duchoň è prodotto da DNA Production (Slovacchia) e DNA Production (Repubblica Ceca).

(Tradotto dall'inglese)

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