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KARLOVY VARY 2025 Proxima

Recensione: TrepaNation

di 

- Il rifugiato siriano e regista Ammar al-Beik ha trascorso dieci anni a filmare la sua vita in Germania e ha compilato un saggio di quasi quattro ore sullo sradicamento, la perdita e la nostalgia

Recensione: TrepaNation

"Questo non è un film, ma una parte della tua vita", afferma il produttore Gilles Sandoz nei primi minuti di TrepaNation [+leggi anche:
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,  quando il regista siriano Ammar al-Beik gli fa visita. al-Beik ha trascorso dieci anni a documentare la sua vita da rifugiato in Germania, dal 18 settembre 2014, quando è stato aperto un campo alla periferia di Berlino in cui gli è stata assegnata una stanza. “Sarà proiettato a luglio”, probabilmente riferendosi a Karlovy Vary, è il suo messaggio vocale a un interlocutore sconosciuto. Sembra che al-Beik non voglia semplicemente buttarsi a capofitto nel suo mastodontico documentario di 222 minuti; sta invitando cordialmente il pubblico a entrare, preparando la scena per un viaggio nei ricordi, pieno di disperazione, speranza e ispirazione.

Il film, presentato in anteprima mondiale al Concorso Proxima del 59mo Festival di Karlovy Vary, è caratterizzato da una miriade di influenze. Girato interamente con la fotocamera del cellulare di al-Beik, è un collage di riprese amatoriali, dipinti famosi, citazioni e colonne sonore. C'è Goethe, c'è Nina Hagen, ma ci sono anche le melodie di Skyrim. In sostanza, tutto ciò che potrebbe lasciare un segno su un rifugiato in Europa nel corso di un intenso periodo di dieci anni: frammenti della nuova vita, ricordi di quella vecchia.

Anthony Quinn domina nelle clip del film del 1976 Il messaggio, dove giura fedeltà al profeta Maometto. Altre volte, questa pomposa ambientazione cinematografica viene sostituita da sequenza girate con un cellulare che mostrano droni che si abbattono su complessi residenziali in Siria, o il suo amico Abu Ali, rifugiato in un campo profughi, che giace sanguinante su una barella, con il volto sfigurato dai frammenti di proiettili. Ci sono foto personali e filmati del passato, oltre a immagini che mettono alla gogna l'ex dittatore Bashar al-Assad, scattate per un servizio su una rivista dedicato alla sua casa nientemeno che dal fotografo di guerra James Nachtwey.

Nella sua documentazione sulla casa dei rifugiati, al-Beik non nasconde le condizioni di vita disastrose e la sporcizia che regna in ogni angolo. Uno degli scorci più raccapriccianti è quello della cucina lurida, con la stufa bruciata, l'enorme mucchio di immondizia e gli avanzi di cibo che nessuno ha portato via. Si può comunque plaudire ad al-Beik per non aver cercato di creare un'immagine sentimentale della povertà. Al contrario, questo cumulo piramidale di spazzatura diventa lo schema del suo simbolico “triangolo della salvezza”, sui cui vertici riposano Jean-Luc Godard, Alexander Kluge e Diego Maradona. Due di questi sono registi a cui qualsiasi giovane artista aspirerebbe, mentre uno di loro è un faro di forza e fair play, come dice al-Beik.

Ma il regista incentra questo saggio anche su sua madre, morta durante la guerra in Siria nel 2012, e su sua moglie Caroline, imprigionata dal regime nel 2012 per contrabbando di latte in polvere e pannolini. “Una delle cose più difficili è non poter seppellire i nostri cari”, riflette la sua voce in un momento chiave. al-Beik continua a girare in tondo nella sua narrazione, che potrebbe essere un riflesso della ripetitività della vita quotidiana in un campo profughi. L'intersezione tra Europa e Medio Oriente, il picco creativo e la situazione umanitaria sono sempre presenti. Ma bisogna setacciare 222 minuti di film per trovare davvero le gemme. Ancora una volta "meta", al-Beik commenta ripetutamente il montaggio e la lunghezza del film. Ma una maggiore attenzione a ciò che andava mostrato avrebbe giovato immensamente a quest'opera.

TrepaNation è una coproduzione Siriano-tedesco-francese di GS Films e Shams Films at Grammar Factory.

(Tradotto dall'inglese)

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