Recensione: Nuestra tierra
di David Katz
- VENEZIA 2025: Lucrecia Martel torna con un documentario complesso e appassionato sul processo che ha seguito l'omicidio di un attivista indigeno per la terra nel nord-ovest dell'Argentina

I film di Lucrecia Martel tendono a ruotare attorno a un preciso conflitto drammatico ed esistenziale: il senso di colpa di una donna borghese di mezza età che potrebbe aver commesso un omicidio colposo in La donna senza testa [+leggi anche:
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scheda film], il primo lungometraggio documentario della grande regista argentina, possiamo percepire come lei attinga a piene mani da una grande quantità di materiale alla ricerca di un filo conduttore coerente e, anche se questo obiettivo non è stato raggiunto perfettamente, è riuscita comunque a costruire sia una giusta denuncia del trattamento riservato dall'Argentina alla sua popolazione indigena, che un tributo alla loro resistenza. Il film è stato presentato in anteprima fuori concorso alla Mostra di Venezia.
Martel aveva iniziato a lavorare a questo film ancora prima di Zama (uscito poi nel 2017), spinta dalla visione di un video girato con uno smartphone che mostrava l'uccisione, nel 2009, del leader della comunità indigena Javier Chocobar, in una valle nella provincia nord-occidentale di Tucumán. Dall'inizio, in ritardo, del processo per omicidio contro i tre sospettati nel 2018, ha documentato le udienze con il sostegno e il coinvolgimento della comunità Chuschagasta a cui apparteneva, diventando la testimone cinematografica dell'ultimo capitolo della loro lotta.
Questo particolare episodio è stato evidenziato da Martel e dalla coautrice del documentario, María Alché, come un momento simbolico di violenza, rappresentativo dello sfollamento dei Chuschas nel corso di diverse generazioni, ma anche come un momento in cui le violenze commesse sono state finalmente riconosciute dalla massima autorità giudiziaria. I tre imputati erano il proprietario terriero Dario Luis Amín e gli ex agenti di polizia Luis Humberto Gómez ed Eduardo José Valdivieso, apparentemente impiegati come guardie di sicurezza. Erano in ricognizione per individuare terreni adatti all'estrazione mineraria. Quando sono stati affrontati dal gruppo di Chocobar, lo scontro ha portato a una sparatoria che ha causato la morte del leader attivista e il ferimento di due dei suoi compagni.
In un'aula di tribunale angusta e squallida, gli imputati e i loro avvocati presentano in modo poco convincente le loro prove e le loro scuse, mentre i Chuschas (tra cui la vedova di Chocobar, Antonia, e suo figlio Gabriel) assistono con solennità. Martel alla fine del documentario torna sulla conclusione ambigua e ancora irrisolta del processo, ma prende le prove presentate nella deposizione come un nuovo filo narrativo per approfondire la vita di questa comunità e le loro esperienze familiari e lavorative a Tucumán e nelle aree urbane a sud. Grazie alle fonti primarie stratificate delle fotografie, alle riprese telefoniche della fine degli anni 2000 fatte durante la sparatoria, alle ricostruzioni degli eventi sul luogo originale anni dopo e alle riprese girate da Martel con un drone, ci viene offerto un quadro in continua evoluzione della vita di una comunità autosufficiente, in un sistema giuridico e politico che cerca di cancellarla. Se la stessa Martel è un'outsider – identificandosi, per le sue origini, con i coloni di discendenza europea e il loro dominio secolare – il suo linguaggio cinematografico multiforme, che cattura gli eventi in tandem con annotazioni auto-riflessive e suggestive, giustifica ampiamente la sua alleanza.
Nuestra tierra è una coproduzione tra Argentina, Stati Uniti, Messico, Francia, Danimarca e Paesi Bassi di Rei Pictures, Louverture Films, Piano, Pio & Co, Snowglobe e Lemming Film. Le vendite internazionali sono affidate a The Match Factory.
(Tradotto dall'inglese)
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